Sono
uno studente italiano. Studio per laurearmi e poi iniziare la mia vita a Cuba.
Chi legge mi dirà che sono totalmente pazzo. Chi mi conosce lo dice da tempo,
da quando iniziai a manifestare la mia futura intenzione. Lo voglio reiterare
chiaramente: sono un giovane che se ne andrà a Cuba. Io andrò a Cuba.
Quando le persone, vicine o lontane, vengono a sapere del mio futuro progetto, nella
maggioranza dei casi arriva il classico sermone. Cuba non è solo ballo, musica
e spiaggia. Cuba non è il paradiso. Cuba è lavoro e duro sacrificio. In altri
casi, meno frequentemente, arrivano squallidi complimenti, accompagnati con la
ridicola convinzione che a Cuba vivrò come un Pashà, circondato da ragazze
mulatte che offrono sesso e bevendo mojitos all’ombra di una palma reale.
Lo
dico una volta per tutte. Non sono un ingenuo sognatore. Non sono un ricco
ereditario. Nella mia decisione sono pragmatico e sono cosciente dei sacrifici
che mi aspettano lì.
Rinuncerò a quello che ho quì, al livello di vita al quale sono abituato.
Lascerò
la mia auto e la mia moto (che sono dei miei genitori). Rinuncerò al mio
supercomputer e a una eccezionale connessione con fibra ottica senza limite. A
volte userò una bicicletta, inizialmente con molto sacrificio, o cercherò di
capire il funzionamento dell’asfissiante trasporto pubblico e a gridare chi è l’ultimo?
Sono sicuro che mi mancherà il mio silenzioso condizionatore nelle calorose notti
isolane. Tornerò al vecchio ventilatore degli anni ’90. Chissà una o due volte
al mese mi potrò connettere a internet alla velocità di una tartaruga. Nemmeno
parlare del cellulare. Dimenticherò il grande televisore al plasma e i mille
canali satellitari e mi abituerò al vecchio tubo catodico che caratterizzò la
mia infanzia. Affronterò una desolante burocrazia. Farò ore di code alla
ricerca di carte e documenti. Mi perderò nei lunghi corridoi dei ministeri
cercando il mio incerto destino. Il salario non mi basterà per niente, Il riso
diventerà il mio miglior amico. La carne di manzo sarà un ricordo lontano.
Non
posso immaginare esattamente quì come sarà la mia vita a Cuba. Non posso sapere
esattamente quello che troverò. Però è una sfida che accetto, che ho accettato
da alcuni anni. Non voglio sembrare arrogante e affermare, da quì, che
sicuramente soddisferò questa volontà. Può darsi che fallirò e tornerò al mio
paese. Però è qualcosa che voglio tentare. E’ qualcosa che devo fare per poter
vivere in futuro senza rimorsi.
Lascerò
la vecchia Italia, questa signora moribonda che non credo si sveglierà mai dal
coma moribondo nel quale si trova da vari decenni. Ovviamente non parlo solo di
economia. La crisi qui è molto grave, però per il momento il così detto giovane
italiano medio continua a condurre una vita senza rinunce, con le sue necessità
e vizi. Io faccio parte di questo gruppo. Non me andrò per ragioni economiche. Sarebbe assurdo pretendere di vivere materialmente meglio in un paese del terzo
mondo come Cuba.
Me ne andrò per una crisi generalizzata che affligge la nostra
gioventù. In un certo momento della nostra vita, la società ci impone una
decisione. Dobbiamo scegliere se faremo parte della buona Italia, lavoratrice e
consumatrice, divertita e futile, disinteressata, indifferente o se saremo
membri della minoranza strana, degli anti-sistema, di quelli che si abituano ma
allo stesso tempo si lamentano. Il risultato sostanziale alla fine non cambia.
Io ho deciso di non appartenere a nessuna di queste due eterne fazioni. Non
posso essere indifferente, ma allo stesso tempo non voglio passare la mia vita
lamentandomi di quello che mi circonda accettandolo tacitamente.
Non
voglio e non posso fare una lista dei mali materiali che affliggono la mia
società (italiana, europea e occidentale). Non sono questi mali che mi hanno
portato a prendere questa decisione. E’ ovvio che l’Italia mi sta stretta in
questo momento, però è un insieme di sensazioni, di sentimenti, di passioni, di
valori.
Le parole non potranno esternare completamente quello che sento dentro,
i miei desideri più profondi. Quello che più si avvicina al mio pensiero è una
citazione che mi guida da alcuni anni:
Ho
vissuto molte cose e credo che ora so quello che mi serve per essere felice.
Una vita tranquilla in campagna, con la possibilità di essere utile ad altre
persone con le quali è facile fare del bene e che non sono abituate a qualcuno
che le aiuti. Chissà un lavoro che sia utile, poi riposare, la natura, libri,
musica, l’amore per il prossimo… Questa è la mia idea di felicità. E per
concludere, che tu sia mia, che magari potessimo avere dei figli, che può
desiderare di più il cuore di un uomo?
(Leon
Tolstoi, la felicità coniugale).
2 commenti:
el comunismo es una enfermedad que se cura con la edad....
Vicenzo crecera basta que vea en lo q ideologia ha transformado todo un país...
Que vaya de vacaciones asi tendra tiempo de reflexionar!!! y sobretodo de tonar a Casa, casetta!!!
fai bene certamente troverai la felicita' a cuba basta lasciarsi andare ti raggiungera' senza nemmeno cercarla in bocca al lupo
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