La
verità sta nel mezzo. Questo è un antico detto, comune a tutte le culture e
nazioni. Nel caso di Cuba sembra essere ancor più veritiero e soprattutto
attuale.
Nell’isola
come ben noto il governo comunista detiene il potere da più di 53 anni con un
ferreo controllo della popolazione, tramite i CDR (Comités de Defensa de la Revoluciòn) sparsi in tutti i quartieri
di tutte le città cubane. Anche nel paesino più sperduto nella campagna esiste una
sezione del CDR che controlla il modo di vivere, le idee e le abitudini dei
vicini.
Non
solo, ovviamente i media dell’isola, stampa, radio e televisione, sono
strumenti di propaganda dove non vengono pubblicate notizie, locali o
internazionali, ma vengono divulgate informazioni abilmente selezionate e
censurate ad hoc, per mantenere la popolazione nell’ignoranza su quegli
argomenti “caldi” che potrebbero danneggiare la stabilità del regime stesso.
Sull’isola
da sempre è presente una dissidenza chiamiamola “tradizionale”, duramente
repressa, soprattutto nel passato, composta da giornalisti, scrittori,
intellettuali e persone comuni che si oppongono alle autorità in prima persona contestando la mancanza dei diritti umani, la repressione della polizia, il partito unico, l’interminabile egemonia dei Castro al potere, le innumerevoli
contraddizioni che non permettono all’economia e alla società di svilupparsi e
che mantiene nella povertà milioni di cittadini, infine l'anacronistica
difesa ad oltranza di un ideale socialista che, nonostante gli evidenti
fallimenti, si rifiuta di rimodernarsi e di ammettere i propri errori.
I
cubani dissidenti in esilio, soprattutto da Miami, appoggiano e finanziano anche
economicamente l’opposizione sull’isola. Combattono il regime tramite quotidiani,
radio, televisioni e organizzazioni politiche ben radicate sul territorio e
alimentate dal denaro di potenti lobby che negli anni si sono
rafforzate sempre più, anche grazie ai discendenti dei vecchi dirigenti
politici della Cuba di Batista, e che hanno proliferato in Florida.
A
fianco degli oppositori storici, da alcuni anni, è sempre più presente in rete
la presenza di una cyber-dissidenza che utilizza la rete direttamente dall’isola
o dall’estero, Miami in testa, ma con una forte presenza anche paesi nei europei. La diaspora cubana
si è organizzata utilizzando i nuovi media tecnologici e divulgando così oltre
oceano quelle realtà dell’isola che sino a pochi anni fa erano del tutto
sconosciute ai più.
Il
recente episodio dello sciopero della fame intrapreso da Martha Beatriz Roque,
Antunez e altri dissidenti dell’isola ha però messo ancor più in evidenza come
le due contrapposte visioni siano paradossalmente simili nel loro modo di
divulgare le notizie.
Nel
caso specifico sin dall’inizio la cyber-dissidenza ha amplificato a livello
internazionale il drammatico atto di protesta pubblicando quotidianamente l’evolversi
della situazione riportando l’aggravarsi della salute dei partecipanti e pubblicando
plateali immagini che mostravano la criticità nella quale si trovavano i
maggiori rappresentanti della protesta.
Dal
lato ufficiale al contrario si inneggiava al circo mediatico, all’imbroglio,
alla costruzione ad hoc di un evento falso che aveva il solo scopo di attirare
l’attenzione della comunità internazionale, ma che in sostanza era solo una
costruzione mediatica manovrata dagli USA e organizzata dal SINA,
organizzazione per gli interessi degli Stati Uniti a Cuba.
Dopo
otto giorni il governo cubano ha accettato le richieste dei dissidenti annunciando
la liberazione di Chaviano, immediatamente la storica vittoria è stata
divulgata con enfasi in rete.
Allo stesso tempo però pochi giorni dopo è stato
trasmesso dalla televisione cubana e subito rimbalzato in rete un video che
mostrava un vicino di casa della Roque che passava del cibo dalla finestra sul retro della casa durante il digiuno forzato della dissidente.
Ovviamente
se veritiero si tratta di una scottante sconfitta della dissidenza stessa, che
stranamente ha solo timidamente tacciato il video di essere un ulteriore atto
di propaganda del governo cubano, ma senza sostenere con troppa veemenza la
falsità delle prove filmate dal regime. Anzi già oggi non se ne parla più,
volendo far cadere nel dimenticatoio una verità tanto scomoda quanto
vergognosa.
Ora
è davvero triste dover affermare che a Cuba la via di mezzo non esiste!
Ma
se dal lato del governo è prevedibile una posizione dura nella difesa delle
scelte e della linea politica del regime, da parte della dissidenza è evidente
la mancanza di una volontà di lottare con argomenti concreti, leali, cercando
una posizione alternativa, anche nel modo in cui viene sostenuta, rispetto a
quella dei media ufficiali. Anzi l’opposizione sembra usare gli stessi
strumenti di pura e semplice propaganda controrivoluzionaria, affidandosi a
logori slogan contro Fidel, Raul, il partito e la dittatura.
Che
la condanna di evidenti problemi concreti che i cittadini cubani devono
affrontare sia giusta e lodevole, il modo e gli strumenti che vengono
utilizzati sembrano ormai stantii e ripetitivi.
Soprattutto
manca totalmente una posizione intermedia.
La
via di mezzo. Una postura che contesti obiettivamente le contraddizioni e le
mancanze che esistono a Cuba, ma che allo stesso tempo consideri quello di postivo che si è conquistato sull'isola. Che abbandoni la linea
intransigente del voler abbattere il sistema, senza però saper proporre
concrete alternative politiche o rifiutando un dialogo che, anche se con mille
difficoltà, potrebbe aprire uno spiraglio nella muraglia ideologica che soffoca
sempre più i cittadini comuni, stanchi di un governo che non risolve i loro
problemi quotidiani e lontani da una dissidenza che sembra sterile e appare sempre più solo
come un’appendice americana che vede negli USA gli unici salvatori della
patria.
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