03 ottobre 2012

Riflessioni su Cuba: '7 days in Havana', un film, uno spaccato della realtà quotidiana all'Havana

7 Days in Havana fotografa in modo realistico la capitale cubana, grazie alla grande abilità di sette registi che mettono insieme stili diversi per realizzare un affresco lontano mille miglia dai luoghi comuni alla Wim Wenders (Buena Vista Social Club, 1999) e dalle cartoline castriste di Oliver Stone (Comandante, 2003). Sette episodi che a volte si intrecciano e comunicano tra loro, girati seguendo una sceneggiatura molto cubana scritta da Leonardo Padura Fuentes, narratore apprezzato anche in Italia. Ogni capitolo racconta un giorno della settimana, dal lunedì alla domenica, seguendo le vite quotidiane dei protagonisti, che allo spettatore italiano possono sembrare straordinarie, quasi surreali, mentre per il cubano sono ordinaria lotta per sopravvivere.

  
El Yuma - Lunedì, è il debutto alla regia di Benicio Del Toro, interpretato da Jos Hutcherson, Vladimir Cruz, Othello Rensoli e Daisy Granados. Racconta una giornata di un giovane attore statunitense, a Cuba per partecipare a un corso presso la scuola di cinema, che diventa amico del suo autista, vive a fondo la notte avanera, tra colossali sbronze e conoscenze femminili. Incontra un transessuale, ma è talmente ubriaco da non accorgersene, quando alla reception lo informano decide di portarlo in camera lo stesso. Alla fine il transessuale prende il cappello del ragazzo e se ne va sfidando il receptionist con un gesto beffardo. Uno spaccato della società cubana: Vladimir Cruz (attore molto noto, interprete di Fragola e cioccolato, Lista d’attesa…) è un ex ingegnere che ha scelto di fare il tassista, le ragazze appena vedono lo yuma (straniero nordamericano) lo circuiscono per i soldi, le donne di casa cercano sempre qualcosa da mangiare e la corrente elettrica manca in continuazione. Interessante il dibattito nel bar per cubani sull’origine dell’espressione yuma, se dal film Quel treno per Yuma, oppure solo un modo per storpiare il termine USA.

Jam SessionMartedì, diretto dall’argentino Pablo Trapero, è l’apoteosi del regista greco Emir Kusturica, impegnato come attore nei panni di se stesso, all’Avana per ritirare un premio, ma in piena crisi esistenziale. Il regista diventa amico del suo tassista (Alexander Abreu), un nero molto dotato con la tromba, abile jazzista, con cui passa tutta la notte, invece di andare alla festa in suo onore. Fotografia stupenda e recitazione fantastica. Tutta l’amarezza del cubano resta dipinta nella sua espressione finale,perché sa bene che il regista – una volta tornato al suo mondo – si dimenticherà di lui. L’amicizia è il valore di fondo della pellicola: Kusturica abbandona la statuetta - premio nelle mani della figlia del nuovo amico. Per lui è stata importante la conoscenza umana con il trombettista, non certo il premio.

La tentación de Cecilia - Mercoledì, diretto dall’argentino Julio Medem, interpretato da Daniel Brühl, Melvis Santa Estevez eLeonardo Benitez, è un segmento molto latinoamericano che propende per il gusto del melodramma e della telenovela.Tutt’altro che irreale, però. 7 Days in Havana ha la caratteristica di essere un film neorealista – cubano, claro! – e di raccontare storie possibili, in alcuni casi forse realmente accadute. Cecilia (nome importante che ricorda il film di Humberto Solás e il romanzo Cecilia Valdés) è una cantante di boleri che vorrebbe cambiare vita e andarsene in Spagna con un bel pretendente spagnolo. Tentata di fare quella scelta sino alla fine decide di restare accanto al suo giocatore di baseball cubano nella povera casa dell’Avana Vecchia. L’episodio scorre a tempo di bolero, con una fotografia seppiata del lungomare, a tinte da cupo melodramma, scandito dalle note di una struggente melodia.

Diary of a beginner – Giovedì, diretto dal palestinese Elia Suleiman, che lo interpreta magistralmente, è un episodio quasi completamente muto, ma dotato di un’amara ironia che riflette bene il senso della caduta di un ideale. Forse il segmento più politico, scorre tra discorsi di Fidel Castro, grondanti retorica, e triste realtà scandita da bolero, mare e sguardi verso il Golfo della Florida. Silenzi, vento che soffia, palme sul lungomare, uomini e donne che non sperano in niente, rassegnazione. Una Cuba che non ti aspetti, ma è la vera Cuba.

Ritual – Venerdì, di Gaspar Noé è l’episodio meno cinematografico, ma serve per raccontare un lato poco noto della cultura cubana: la santeria. Interpreti: Othello Rensoli, Cristela Herrera, Dunia Matos. Tutto il segmento è un rituale santero di purificazione praticato su una ragazza, ritenuta colpevole diamare le donne. I tamburi batá e i canti africani a ritmo di rumba accompagnano immagini sensuali. Meno riuscito di altri.

Dulce amargo – Sabato è un piccolo capolavoro di Juan Carlos Tabío, l’allievo di Tomás Gutiérrez Alea, il suo erede più fedele, continuatore di una sorta di neorealismo comico che rappresenta il quotidiano nei suoi momenti magici. La storia, scritta da Leonardo Padura Fuentes, è molto cubana; si narra la vita di una coppia matura (Jorge Perugorría e Mirta Ibarra, due monumenti del cinema cubano) con due figlie e un’esistenza scandita dalle quotidiane mancanze. Lui è un uomo insoddisfatto, dedito al rum e mezzo alcolizzato, lei deve arrotondare il magro stipendio da psicologa televisiva facendo dolci per le feste. La vita cambiaimprovvisamente, entrambi soffrono abbracciati sul lungomare, quando la figlia decide di scappare a bordo di una zattera con il suo uomo. Questo episodio è collegato al terzo, perché la ragazza che fugge, la figlia di Perugorría, è Cecilia, che accetta di andarsene con il suo giocatore di baseball. Le lacrime dei due attori rappresentano il dramma di tante famiglie cubane che hanno visto partire i loro figli verso l’ignoto. Bellissimo.

La fuente – Domenica è girato dal francese Laurent Cantet, ma sisente che la storia è del cubano Padura Fuentes, perché descrive con precisione la religiosità caraibica, a metà strada tra fede cristiana e superstizione santera. Può sembrare un segmento poco realistico, ma non è così, perché a Cuba quello che dice una vecchia santera è legge, tutti si fanno in quattro per compiacerla. Il compito di un intero quartiere del Centro Avana, vicino al Malecón è quello di costruire un altare per la Vergine (Cachita, Ochún, per la tradizione africana) e di realizzare una festa in suo onore. L’unione fa la forza, i cubani aguzzano l’ingegno per fare di necessità virtù, mettendo insieme le varie competenze raggiungono lo scopo prefissato. Rumba, canzoni alla Vergine, canti a Elegguá e Ochún, ci portano nella Cuba nera.

7 Days in Havana è un film ad alto budget (tre milioni di euro),viene presentato a Cannes a maggio 2012 ed esce in Italia a giugno, distribuito da Bim (Roma). Punti di forza: fotografia e musica, ma anche una visione di Cuba scevra da condizionamenti ideologici e da luoghi comuni. Finalmente abbiamo visto un film dove i cubani non ballano, ridono e sono felici, rappresentazione stereotipata da sciocchi europei, ma una pellicola dove i cubani sono persone che affrontano la vita. Sette registi capaci di dare vita all’anima romantica e languida del popolo cubano, coraggiosi al punto di rinunciare al gioioso ritmo della salsa pergirare un film malinconico, struggente, che scorre seguendo le note di vecchi boleri.

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