23 settembre 2012

Economia cubana: si può eliminare la doppia moneta?

Se ne parla da diverso tempo, è una misura attesa dalla popolazione e una realtà contraddittoria ed oggi ingiustificata. La doppia moneta, che a Cuba significa essere pagati per il proprio lavoro statale in CUP (peso cubano o moneta nazionale) e comprare beni e merci anche di prima necessità in CUC (peso convertibile o moneta forte).

Si discute da anni dell’eliminazione della doppia moneta, anche se questa possibile riforma presenta dei dubbi e pone delle domande fondamentali. Prima fra tutte quale può essere la sua reale implementazione e avrebbe un senso pratico nella quotidianità dei cittadini?


Il CUC iniziò a circolare a Cuba nel 1994 sulla base delle misure economiche introdotte dal governo di Fidel Castro per evitare il collasso economico dovuto alla scomparsa dell’Unione Sovietica.

Inizialmente quindi il dollaro americano era illegale, la sua circolazione era proibita. Poi per un certo periodo le due monete, dollaro e CUC, circolavano entrambe liberamente, infine dal 2005 si reintrodusse l'bbligatorietà di cambiare i dollari in CUC, principalmente per permettere al governo di raccogliere una valuta forte internazionalmente valida. Il CUC infatti ha valore solo all’interno di Cuba, non esiste un cambio ufficiale internazionale.

Oggi il CUC è equiparato, teoricamente, al dollaro 1CUC=1$, ma in realtà bisogna applicare un’imposta del 10% sul cambio più il costo della transazione bancaria.
Il CUC è già in pratica l’unica valuta effettiva per comprare merci e alimenti nei supermercati dell’isola. Il CUP viene utilizzato solo nei mercati locali per acquistare prodotti agroalimentari, carne, uova, riso, formaggio e poco altro.

Se si vuole comprare pasta, olio, shampoo, dentifricio, detergenti, passata di pomodoro, latte liquido, e molti altri generi di prima necessità bisogna pagarli in CUC. Ovviamente prodotti  teoricamente "non indispensabili" come lavatrici, ventilatori, frigoriferi e altri elettrodomestici o prodotti elettronici vengono venduti solo in CUC.

Da Luglio del 2012 è in atto un esperimento che permette ai possessori di un conto corrente bancario di pagare prodotti venduti in CUC con una carta di debito (bancomat) erroneamente definita dalla maggioranza dei media “carta di credito”. 
La differenza è sostanziale, la carta di credito è un prestito che la banca concede al possessore che poi restituirà dopo un mese l’importo anticipato, inesistente a Cuba. 
La carta di debito permette di utilizzare una carta magnetica, come il nostro bancomat, per spendere soldi di cui già disponiamo sul nostro corrente.

Questa carta permette di acquistare prodotti venduti in CUC pagando l’equivalente in CUP al cambio di 1CUC=25CUP. 
Sostanzialmente non cambia niente, l’unica differenza è che si evita di dover passare per un ufficio di cambio (CADECA) o una banca per ottenere moneta forte con moneta nazionale.
Oltre a comprare nelle “tiendas” servono a ben poco. La presenza di casse automatica dove prelevare contanti sono scarse a Cuba, inoltre i cittadini che non guadagnano denaro a sufficienza per poterlo depositare in banca non possono ovviamente possedere una carta magnetica.

Tornando alla doppia moneta, la sua eliminazione dovrebbe diminuire le penurie e il malcontento della popolazione. Ma in realtà serve a ben poco se poi i salari restano immutati.
Oggi il salario medio di un lavoratore statale è di 455 CUP equivalenti a 18,2 CUC. Che siano in moneta forte o moneta nazionale poco cambia per il cittadino, resta un salario insufficiente per sopravvivere dignitosamente.

Quindi per prima cosa il governo dovrebbe incrementare i salari, aumentare il potere d’acquisto della popolazione, per far questo è indispensabile stimolare gli investimenti stranieri sull’isola, aumentare lo sviluppo delle piccole e medie imprese nazionali, legalizzando ad esempio le importazione con scopo commerciale e aprendo mercati all’ingrosso per le attività in proprio.

Per il momento si sta lentamente muovendo qualcosa, le riforme di Raul Castro promettono cose positive nella privatizzazione di alcune attività considerate non strategiche, anche se sembra che lo stesso presidente debba affrontare alcune resistenze da parte di “puristi” all’interno del Parlamento che si ostinano a voler mantenere un ferreo controllo sulla liberalizzazione delle piccole-medie imprese, restando ancorati a ideologie e ad un retorico sistema burocratico che penalizza la semplice ricetta per un mercato libero “domanda=offerta”.

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