20 agosto 2012

Cambio a Cuba: il giornalismo che non decolla

In un paese dove non esiste alcuna divisione dei poteri, le funzioni del governo, il partito e le forze delle leggi sono tutte mischiate e sono parte dello stesso sistema.
Qualunque cubano è consapevole che quello che si pubblica sulla nostra stampa risponde allo Stato, ma anche se risponde ai nostri interessi, non risponde alle necessità informative di un popolo. 
Un fenomeno così radicato che nonostante il presidente del paese lo critichi apertamente, è cambiato poco negli ultimi anni.

E’ una questione molto pericolosa, perché mette in dubbio la credibilità degli organi di stampa, ma anche dello stesso progetto politico che cerchiamo di costruire, in questo modo mentre molti funzionari di partito e direttori dei media dell’informazione continuano ad enunciare quale sarà la “pappa informativa” che possiamo consumare, si apprestano a distruggere la rivoluzione poco a poco, alcuni per ignoranza o incapacità, altri per garantirsi un litro di benzina e le solite vacanze con la famiglia alla spiaggia senza cercare “problemi”.

E’ curioso che il partito che abbiamo selezionato per rappresentarci, sia così selettivo nell’informazione che pubblica sui suoi media.
Sono passati più di 80 anni da quando colui che probabilmente è stato il miglior politico rivoluzionario del continente nel secolo scorso si riferiva al fenomeno della censura ufficiale.
Anche se il contesto è differente e nel nostro caso chi gestisce i media è lo Stato e non la polizia, leggiamo le parole di JoséCarlos Mariàtegui (nella foto):

“Se le notizie e le idee che si consente di divulgare nei giornali sono subordinate al criterio della polizia, la stampa si converte in un comunicato della polizia.
In queste condizioni, la dignità della funzione del giornalismo risulta attaccata e mortificata”.

di Harold Càrdenas Lema

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