L’elezione di Barack Obama come prossimo presidente degli Stati Uniti promuove nei cubani l’impressione ottimista che le profonde differenze tra i nostri paesi potranno appianarsi in forma civile. Mentre Obama non ha fatto promesse al rispetto nella sua campagna elettorale, non si sa nemmeno se simpatizzi per il socialismo né se conosce alcuna inclinazione con Cuba. L’ottimismo viene dal sapere che Obama è un uomo intelligente e vuole cambiare profondamente la politica della sua nazione.
Si sa che Obama non sarà il prossimo dittatore degli Stati Uniti perché dovrà governare rispettando la legge che vige in quel paese e confrontarsi con una opposizione dove prevale l’idea che la soluzione di “questo problema che si chiama Cuba”, passa necessariamente per la distruzione, a qualunque costo, del governo dell’isola. Si sa anche che tra le priorità della sua agenda il problema cubano non appare in prima pagina, perché molto prima c’è la crisi economica, la guerra in Iraq e Afghanistan, il conflitto tra israeliani e palestinesi, lo scudo anti-missili in Europa, lo sviluppo dell’energia nucleare in Iran e Corea del Nord, il problema dell’immigrazione illegale e una montagna di questioni interne.
Il problema di Cuba deve trovare una soluzione dai cittadini cubani, però mentre la nostra società civile continua ad essere così debole, mentre sono limitati i dibattiti di nuove idee, dipenderemo sempre, purtroppo, dall’influenza di fattori esterni.
Uno di questi fattori è stata la politica degli Stati Uniti verso Cuba durante gli ultimi 50 anni.
Sotto l’implacabile motto che “In una piazza assediata, la dissidenza è tradimento”, il governo cubano ha trovato in questa politica l’argomento per reprimere tutto quello che si allontana dalle linee del Partito Comunista.
Se questo “assedio” cessasse, o se qualcosa mostrasse che sta per finire, finirà la giustificazione e il Governo cubano finalmente non avrà altro modo che legittimare l’esistenza di una opposizione interna o di auto legittimarsi come una volgare dittatura. Se si affievolisce la tensione ci saranno più opportunità per depenalizzare la differenza politica, e a partire da lì, potremmo aspirare affinchè le soluzioni ai nostri problemi non siano “orientamenti arrivati dall’alto”, ma accordi presi in un parlamento dove con autentica libertà si possano polemizzare tutte le tendenze.
Eliminare le restrizioni economiche e commerciali, permettere la visita a Cuba dei cittadini statunitensi, liberalizzare le rimesse, restituire la base di Guantanamo, sarebbero alcuni punti a favore della parte cubana in un eventuale tavolo di trattative. Sarebbe assurdo aspirare che la parte nord-americana arrivasse a queste trattative senza avere pretese, come se accettassero una capitolazione incondizionata. Di fatto, riconoscere il Governo cubano come un possibile interlocutore sarebbe già, da questo punto di vista, la più grande concessione fatta in mezzo secolo e, da qualunque punto di vista, un passo di enorme trascendenza.
In situazioni disperate è tipico che il minimo segnale generi illusioni. Ci auguriamo che non si tratti di un miraggio: la finestra per tanto tempo serrata potrà aprirsi, un vento fresco si sta avvicinando.
Si sa che Obama non sarà il prossimo dittatore degli Stati Uniti perché dovrà governare rispettando la legge che vige in quel paese e confrontarsi con una opposizione dove prevale l’idea che la soluzione di “questo problema che si chiama Cuba”, passa necessariamente per la distruzione, a qualunque costo, del governo dell’isola. Si sa anche che tra le priorità della sua agenda il problema cubano non appare in prima pagina, perché molto prima c’è la crisi economica, la guerra in Iraq e Afghanistan, il conflitto tra israeliani e palestinesi, lo scudo anti-missili in Europa, lo sviluppo dell’energia nucleare in Iran e Corea del Nord, il problema dell’immigrazione illegale e una montagna di questioni interne.
Il problema di Cuba deve trovare una soluzione dai cittadini cubani, però mentre la nostra società civile continua ad essere così debole, mentre sono limitati i dibattiti di nuove idee, dipenderemo sempre, purtroppo, dall’influenza di fattori esterni.
Uno di questi fattori è stata la politica degli Stati Uniti verso Cuba durante gli ultimi 50 anni.
Sotto l’implacabile motto che “In una piazza assediata, la dissidenza è tradimento”, il governo cubano ha trovato in questa politica l’argomento per reprimere tutto quello che si allontana dalle linee del Partito Comunista.
Se questo “assedio” cessasse, o se qualcosa mostrasse che sta per finire, finirà la giustificazione e il Governo cubano finalmente non avrà altro modo che legittimare l’esistenza di una opposizione interna o di auto legittimarsi come una volgare dittatura. Se si affievolisce la tensione ci saranno più opportunità per depenalizzare la differenza politica, e a partire da lì, potremmo aspirare affinchè le soluzioni ai nostri problemi non siano “orientamenti arrivati dall’alto”, ma accordi presi in un parlamento dove con autentica libertà si possano polemizzare tutte le tendenze.
Eliminare le restrizioni economiche e commerciali, permettere la visita a Cuba dei cittadini statunitensi, liberalizzare le rimesse, restituire la base di Guantanamo, sarebbero alcuni punti a favore della parte cubana in un eventuale tavolo di trattative. Sarebbe assurdo aspirare che la parte nord-americana arrivasse a queste trattative senza avere pretese, come se accettassero una capitolazione incondizionata. Di fatto, riconoscere il Governo cubano come un possibile interlocutore sarebbe già, da questo punto di vista, la più grande concessione fatta in mezzo secolo e, da qualunque punto di vista, un passo di enorme trascendenza.
In situazioni disperate è tipico che il minimo segnale generi illusioni. Ci auguriamo che non si tratti di un miraggio: la finestra per tanto tempo serrata potrà aprirsi, un vento fresco si sta avvicinando.
3 commenti:
I fatti hanno insegnato che Cuba può discutere tranquillamente con gli stati uniti, può anche liberare tutti o quasi i prigionieri politici, ma non accetterà mai di discutere il suo sitema politico-economico. Se obama volesse cancellare il bloqueo in cambio della rinuncia da parte del governo di raul, come suggeriscono gli anticastristi, di quello che è stato costruito in 50 anni, non andrà da nessuna parte. Non è difficile capirlo, ma alcuni anticastristi, sebbene intelligentissimi, faticano a comprendere.
Caro Nino, non consideri che Cuba è un paese al collasso, soprattutto economicamente. Non c'è più spazio, soprattutto per quei giovani facenti parte del Governo, di retoriche ideologie.
Certo l'influenza dei Castro (o meglio dire di Fidel) frena ogni possibile dialogo al momento, però... Ovviamente mai potrebbero negare 50 anni di vita politica (ufficialmente), ma sicuramente sono consapevoli della necessità (per sopravvivere)di un adeguamento e di una ristrutturazione di alcuni aspetti basilari della vita sull'isola: libertà di espressione, dualità monetaria e libertà di spostamento dentro e fuori l'isola.
Meglio trattare con gli USA, che con paesi "alieni" come Cina e Russia, così lontani e diversi culturalmente dal popolo cubano.
Grazie per i tuoi commenti
in realtà raul, senza aspettare i giovani, sta facendo qualche riforma incisiva:distribuzione delle terre in usufrutto e cancellazione del limite salariale. Anche la cancellazione della doppia moneta ci sarà. Ma, proprio perchè è in gioco la vita del sistema, non accetteranno il multipartitismo.
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