09 novembre 2008

La politica di Cuba: Obama e Cuba

di Rafael Rojas (storico cubano, in esilio in México) da El Pais
L’ex comandante in capo e primo segretario del PCC (Partito Comunista Cubano), Fidel Castro srisse che Barack Obama e John McCain erano la stessa cosa, solo che Obama non sarebbe stato eletto per il profondo razzismo che esiste in USA. Il segretario culturale del PCC Eliades Acosta Matos disse che Obama è come Colin Powell e Condoleezza Rice, un prodotto del neo-censervatorismo nord-americano, più pericoloso di qualunque repubblicano.

Entrambi si sono sbagliati.Obama è il nuovo presidente degli Stati Uniti con un programma molto diverso da quello del suo rivale: politica fiscale distribuita differentemente, aumento della copertura sanitaria sociale, promozione di fonti alternative di energia, ritiro delle truppe dall’Iraq, diplomazia multilaterale, legislazione morale avanzata. L’errore dei politici cubani, come di quelli di altri paesi sudamericani, è stato quello di non riconoscere al loro vicino, che oltre alla sua egemonia globale, è una democrazia che oggi ha un patto giuridico per raggiunge la convivenza tra le diverse culture.

Dove questo patto non è stato raggiunto è Cuba. Lì la percentuale di neri e mulatti è del 60% dei cubani che vivono sull’isola, negli USA gli afro-americano raggiungono a malapena il 15% della popolazione.
Il potere cubano non riflette la differenza razziale, religiosa, generica e sessuale dell’isola né l’esistenza di una opposizione e di un esilio che pacificamente difende un’altra idea di governo.

Obama vince le elezioni come un politico oppositore, giovane, meticcio e riformista, mentre a Cuba il regime è in mano di un gruppetto di bianchi anziani e conservatori. Il contrasto non potrebbe essere maggiore. [...]

Obama arriva alla presidenza senza un’agenda latino-americana. La dovranno concepire. In alcuni paesi della nuova area democratica “neo-socialista” l’insicurezza sociale, il narco traffico e la corruzione sono solo alcuni dei problemi che minacciano la loro stessa democrazia. Alcune politiche del governo Bush come il libero commercio, la lotta al narco traffico, la riforma migratoria, non devono essere scartate a priori, ma inserirsi in una strategia regionale più ampia.
Una buona diplomazia di Washington aiuterebbe molto a rafforzare la componente democratica delle nuove sinistre e contrasterebbe la tendenza autoritaria, che nella prima metà di questa decade, ha promosso Cuba e il Venezuela come argine agli eccessi di Bush.

Se le misure promesse da Obama, come l’eliminazione delle restrizioni di viaggio e delle rimesse imposte da Bush, saranno onorate, unite ad una strategia di eliminazione dell’embargo commerciale in cambio di passi concreti a favore della democrazia, come lo scarceramento immediato di tutti i prigionieri politici e la concessione di garanzie per una attività di opposizione, potrebbe essere un punto di partenza per una distensione nelle relazione tra i due paesi. […]

Quello che può fare la nuova amministrazione USA è concentrare la sua politica multilateralmente fino all’isola, con alleati europei e latino americani, pretendendo sempre che qualunque negoziazione con l’Havana includa misure tangibili a favore delle libertà sull’isola. L’autoritarismo del governo cubano non solo fa soffrire il popolo, ansioso di entrare nel XXI, ma crea una causa di conflitto in una regione fragilmente democratica. […]

Gli Stati Uniti di Obama possono aiutare, se lo vogliono, per far sì che la democrazia cubana non sia solo un desiderio per migliaia di oppositori sull’isola e milioni in esilio esclusi dalla vita politica del proprio paese, ma sia anche l’interesse della maggioranza democratica del mondo. Per questo Washington dovrà considerare la questione cubana come un problema domestico, relazionato con i voti del sud della Florida.

Cuba continua ad essere la più chiara alternativa autoritaria di sinistra attuale. Il Venezuela di Chavez ha un maggiore potere economico, ma non è riuscito a smantellare un pluralismo politico, né un’economia di mercato, nemmeno una sfera pubblica. Il problema cubano ha a che vedere, quindi, con il consolidamento e perfezionamento della democrazia in questo emisfero. Se, come sembra, il governo di Raul Castro vuole relazionarsi con tutte le democrazie del mondo, siano esse di destra o di sinistra, niente è più logico che queste democrazie spingano alla democratizzazione il loro interlocutore caraibico.

I protagonisti di questa transizione non saranno, come sappiamo, Washington, Bruxelles, Madrid o Brasilia: saranno i democratici cubani del XXI secolo, provengano dall’opposizione, dal governo o dall’esilio. Mentre un maggiore consenso internazionale genera un cambio pacifico del regime, sull’isola potranno avanzare più rapidamente i suoi fautori.
L’opportunità che si apre con il nuovo governo USA non deve essere ostacolata dalla tipica intransigenza di chi, da l’Havana a Miami, vedono minacciati i loro interessi e, come tante volte in passato, si preparano per demolire qualsiasi piattaforma di distensione.
Mezzo secolo è stato sufficiente per vivere il dramma di un paese diviso e paralizzato.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ciao e complimenti per il tuo blog... davvero molto interessante!
Mi piacerebbe fare uno scambio link con il mio blog sui viaggi!
Fammi sapere, magari lasciando un commento!
Ciao
Stefano