21 settembre 2008

Riflessioni su Cuba: l'uomo che voleva essere cubano

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- Mi sento come voi.
Non è così. Lo crede solamente. La mancanza di apprensione nel suo sguardo testimonia che non è come noi.

- In tutti gli anni da quando frequento questo paese, sono arrivato a crederlo. Ho tanti amici, ho avuto amori. Siete così meravigliosi che mi sento parte di voi.


Lo capisco, ho sentito parole simili da molti visitatori. Siamo amabili. Da Colombo in poi vengono dicendo la stessa cosa. Buone persone, come questo amico, condividono le nostre tragedie, vogliono aiutarci, a volte lo fanno. Però continuiamo ad aver bisogno di aiuti. Non siamo vaghi, però “si lavora poco”. Siamo intelligenti, brillanti in alcuni casi, però tuttavia "paghiamo con gli specchi".

- Mi piacerebbe essere cubano.

Questo è nuovo. Molti cubani non vorrebbero esserlo. Altri, vogliono esserlo, però vivendo da un’altra parte. Sembra che la nazionalità cubana sia un cattivo affare. Non è come essere spagnolo o tedesco. Però quest’uomo, con passaporto di diversi paesi di prima classe, vuole essere cubano. Fino a che punto?

- Ho pagato l’affitto per due mesi, ed ho risparmiato il resto. Se non trovo qualcosa, tenterò di vivere due mesi con 50 CUC.

Difficile. Non posso evitare di domandargli. “Come credi di poter guadagnare del danaro?

- Per sentirmi cubano, devo guadagnarlo facendo qualcosa che chiunque potrebbe fare. Ad esempio lavorare in un mercato ortofrutticolo, o guidare un bici-taxi.

“No. Lavorare al mercato lo può fare solo chi tiene lo spazio. Non è qualcosa che si ottiene velocemente, a meno che non lo compri. Per il bici-taxi, devi comprarne uno e ottenere la licenza.”

- Che lavoro posso fare?

“Puoi vendere giornali. Ti alzi alle 5 di mattina e fai più volte la coda. Compri cinquanta giornali a venti centesimi di pesos, e le vendi ad 1 peso. Così guadagnerai 40 pesos al giorno, se li vendi tutti, al massimo 60. Puoi vendere buste di nailon fuori il mercato. Ad 1 peso al pezzo, puoi guadagnare anche 100 pesos, anche se ci devi pagare le borse. E’ illegale, però non molto perseguito.”

- Non mi piacciono questi lavori.

“Questo significa che sei in condizione di poter scegliere. Tanto, no. Dipende anche dal livello. Puoi fare traduzioni, quando trovi i clienti. Tieni in considerazione che ci sono già molti traduttori ed è un lavoro abbastanza specializzato. Ti posso presentare qualcuno, se ha più lavoro di quello che può sbrigare da solo, ti avviserà.”

- Nel frattempo?

“Se sai di avere del denaro risparmiato per le emergenze, sei nella stesa condizione di molti cubani. Con la sola differenza che tu sai che questo sarà solo per due mesi e puoi resistere più facilmente. Loro sono in pericolo di dover fare sacrifici per il resto della vita.”

- Non userò questi soldi. In nessun modo. E nemmeno li vado a “jinetear” (“arrangiarsi” sfruttando qualcuno, per qualche motivo, “prostituirsi“), né a scrivere sulle riviste, né a guadagnare dei soldi in un modo che non sia qualcosa che possa fare anche un cubano.

“Puoi fare il maestro privato. A venti pesos a lezione di due ore, puoi preparare gli alunni per la prova di ingresso alle scuole. Ti metto in contatto con un tipo che ha una specie di accademia.” Anche così, non sarebbe cubano. Nemmeno inizierebbe a sentirsi tale. “Manca la paranoia.”

- Sono già in paranoia. Sono in affitto in una stanza illegalmente. E’ arrivato un ispettore alla casa, si dice per un pettegolezzo, e mi sono nascosto fino a quando non se ne è andato. Ho così paura di pregiudicare la padrona di casa, che non esco neanche in balcone.

Non è tutta la paranoia, però si può accettare. L’uomo si sta sforzando. Sale sul P5 (un autobus della città), tiene stretta la borsa e gli rubano il cellulare. Non potendo usare i suoi soldi resta senza cellulare. Anche così, persiste, e gli rubano la borsa. Per fortuna lasciò il passaporto a casa. “Quanto ti hanno rubato?”

- Ventidue CUC e 80 pesos cubani. Però vivrò con quello che mi resta. Anche i cubani vengono derubati sull’autobus.

“Ti manca qualcosa di importante. Sei molto indipendente. Se fossi come noi, staresti cercando aiuto. Penseresti che lo Stato deve aiutarti in una situazione così. Dipendiamo molto dalle istituzioni.”

- Allora per essere cubano sarei dovuto andare alla polizia?

Può essere. Però il suo problema è l’atteggiamento. Certamente è cambiato. Ha perso alcune ingenuità di qualche settimana fa. Già non muove la mano per pagare quando beve una birra con me. Già non importa alle mulatte che gli passano al lato, perché non vedono in lui uno straniero. Ha dimenticato la sua e-mail, internet, il numero di conto della banca. Continua, nonostante tutto, a non sentirsi cubano. “Credi di averne il diritto?”

- Ne ho il diritto!

Meglio che non si sforzi. Quello che pretende è impossibile. Non è stato in quella scuola, non ha visto quei canali da bambino, non ha conosciuto quei momenti. Non ha aspettato che un ciclone desse il cambio ad una tormenta tropicale. Non sa vivere il momento in cui “è arrivata la tal cosa nel tal negozio”. Non ci riuscirà.
Non cado nella tentazione di dire una stupidaggine tipo: “la cubanità è come la torrefazione che si ottiene a fuoco lento.” O qualcosa del genere. Lo disapprovo senza spiegazione: “non si può essere cubano per due mesi.”

1 commento:

Anonimo ha detto...

Tante grazie Roberto per pubblicare questo articolo!

Esattamente la triste verita di essere cubano in Cuba:

“non si può essere cubano per due mesi.”

Saluti :) Melek

"L'uomo non è libero di guardare senza emozione la schiavitu ed il disonore degli uomini, né le loro lotte per la libertà e l'onore." ~ Jose Marti