L'Havana. Doveva succedere il finimondo. Per contro, sei mesi dopo l'eclatante annuncio di Fidel Castro che, a causa di un intervento chirurgico per una grave emorragia intestinale, per la prima volta in 48 anni di Rivoluzione, lasciava "temporaneamente" il potere nelle mani del fratello Raul, a Cuba tutto sembra procedere come prima. O quasi. In effetti, dedurre quanto accade a Cuba - la malattia di Fidel è stata dichiarata 'segreto di stato' - alla luce dei sempiterni misteri di cui si circonda il potere, non è facile per esempio, sapere sé è in corso una 'transizione' o una 'successione'.
Sul lider maximo, dal 31 luglio scorso, vi è stata una sarabanda di illazioni. Chi lo ha dato per morto e chi in fin di vita per le conseguenze delle operazioni subite. Il quotidiano spagnolo 'El Pais' ha parlato addirittura di tre. Per contro, dopo alcuni filmati e qualche foto dei suoi incontri con il venezuelano Hugo Chavez e alcuni suoi messaggi che risalgono a dicembre, l'altro ieri, il presidente del Parlamento Ricardo Alarcon ha assicurato che "il suo recupero procede bene" e che il suo ritorno al potere "dipende dalla sua evoluzione postoperatoria". Insomma ambiguità.
Lo stesso, mentre nell'isola ferve come non mai 'radiobemba', come viene chiamato il passaparola, cubani e analisti di tutto il mondo, sembrano concordare sul fatto che Raul Castro e gli altri sei 'politici doc', che governano collettivamente con lui, portano avanti, lentamente ma costantemente, dei cambiamenti.
Anche alla luce del fatto che Raul Castro, come comandante dell'esercito, è sempre stato più efficiente del fratello quanto ad organizzazione ed ha molte volte mostrato la sua concretezza nel risolvere i tanti problemi dell'isola. Il 28 dicembre scorso, se ne sono resi conto i burocrati del ministero dell'agricoltura. Nel corso di una riunione sul tema, quando hanno cercato di fare i finti tonti sui problemi del settore, Raul è sbottato: "Zitti. La rivoluzione è stanca di giustificazioni".
E subito dopo, toccando il tema dei piccoli produttori privati, che, ha specificato "apportano il 65% di quanto produciamo oggi", ha aggiunto: "Non mi importa che guadagnino di più, voglio che producano di piu". Piccolo ma significativo indizio che, secondo gli analisti, fa presumere che Raul Castro punti "ad una via cubana alla vietnamita o alla cinese", cioé ferreo controllo dello Stato, ma più mano libera ai privati, imprenditori esteri compresi. Il tutto, altra novità, sentendo cosa ne pensa la gente. Del tutto inusuale, infatti, l'inchiesta pubblicata il 31 dicembre da Juventud Rebelde che ha interpellato 280 giovani cubani su 'Come volete che sia Cuba nel 2020?'. Ovviamente, sostiene il giornale, "solo pochi di essi hanno ammesso che sperano di non trovarsi ancora nell'isola". Per contro, la grande maggioranza sogna "una Cuba socialista con la maiuscola", pur se, dice sempre Juventud Rebelde, "bisogna cambiare alcune cose, per porre fine alla decadenza, allo sporco e senza aver paura della novita".
Ed è stata appunto l'economia "il tasto comune di tutte le opinioni". E' indubbio che il potere, da sempre occhiuto, ha misurato ogni parola, anche perché, assicura il giornale "tutti hanno chiesto che il Partito sia unito, come ora che lo guidano i suoi leader storici". E' evidente però che il cambiamento s'ha da fare. Magari anche contro i desideri di Fidel che, si sussurra a L'Avana, continua a scocciare tutti con le sue telefonate.
di Oscar Piovesan su Ansa
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