12 novembre 2012

Cambio a Cuba: chi è un rivoluzionario?

Ancora con la stessa domanda, lo stesso dilemma, chi è un rivoluzionario? Cosa significa essere rivoluzionario? Qui si apre un dibattito dal quale difficilmente se ne può venire a capo. Rivoluzionario è chi ha partecipato alla rivoluzione? Bé, facile deduzione, ma fuori tempo massimo. Oggi i pochi sopravvissuti, per la maggior parte seduti su comode poltrone privilegiate, poco hanno a che vedere con questo termine, sia per la loro anacronistica posizione ideologica senza alcun valore pratico ai nostri giorni, sia per l’incapacità di restare al passo dei tempi, in un’era come quella attuale che cambia così rapidamente da lasciare i poveri vecchietti sbalorditi e disarmati, così che resta loro soltanto la testarda tenacia di rimanere aggrappati a inefficaci slogan e poveri idealismi tanto sterili quanto dannosi.

Ma una parte della generazione nata con la rivoluzione cubana risulta ancora affascinata dall’immagine del “rivoluzionario”, del socialismo “puro”, continuando a sostenere tesi  e idee che poco si adattano all’attuale realtà socio-economica di Cuba. Uno di questi è Enrique Ubieta Gòmez, giornalista di ferma identità “rivoluzionaria" il quale sostiene con veemenza che:

"Un rivoluzionario è radicalmente anticapitalista. Non esiste un capitalismo buono e uno cattivo, approfittare delle cose buone del capitalismo può essere una frase ingannevole, perché non si riferisce ai prodotti del lavoro umano, ma ad un tipo di modernizzazione predratrice della natura, alienante e sfruttratrice".

Il capitalismo è (da Wikipedia): un sistema economico e sociale basato sulle competizioni di detentori di capitali privati. 
Essere anticapitalisti quindi prevede l'abolizione della proprietà privata e la statalizzazione di ogni forma di produzione così come la centralizzazione dei beni privati equiparando il capitale individuale in ogni categoria sociale. Sembra così ingenua una definizione di società basata su tali principi da far sorridere. Forse cento anni fa quando la rivoluzione bolschevica e poi quella cinese e infine quella cubana ebbero origine, poteva sembrare un sistema alternativo all’ingerente e despota sistema di governo feudatario che imperava nel mondo occidentale a quell’epoca.

La storia poi ci ha dimostrato come l’utopia fracassò nell’insostenibiltà di tale sitema socio-politico-economico. L’ideologia anticapitalista non fece altro che traslare i poteri economici da pochi individui elitari fautori del “liberismo economico” ad altri individui elitari detentori del verbo socialista e statalista che agivano per lo stesso scopo comune, legiferare e governare per gli interessi degli stessi membri dell’elite al potere (capitalista o socialista, senza alcuna distinzione).

Oggi il sistema capitalista imperante nel mondo occidentale ha altresì dimostrato la sua insostenibilità economica e sociale. L’elite che governa a livello planetario ha creato una situazione intollerabile, quadrando il cerchio, eliminando il potere politico dei singoli stati, sopprimendo l’individualità dei cittadini e legiferando per il solo scopo di aumentare il potere economico e politico della stessa elite. 
Sostenere però che l’unica via sia l’anticapitalismo, nel suo sentito più generico, è assurdo, come è altresì impensabile affermare che il capitalismo sia l’unica strada percorribile per un futuro equo, socialmente giusto e prospero per tutti i cittadini liberi e sovrani.

L’unica alternativa sostenibile quindi è un mix delle due cose. 
Il “socialismo capitalista” o se preferite il “capitalismo inclusivo”. 
Il socialismo è (da Wikipedia): una economia che rispecchia il significato di "sociale", che pensa a tutta la popolazione, a realizzare degli obiettivi attraverso il superamento delle classi sociali e la soppressione, totale o parziale, della proprietà privata e mezzi di produzione e di scambio. 
Questa definizione però oggi non è più attuabile. 
La sua evoluzione deve mantenere intatti gli obiettivi di eguaglianza sociale, garanzie basilari quali sanità, istruzione, giustizia. Non può però prevedere la soppressione totale della proprietà privata, è proprio su questo dogma che i socialismi sono crollati. 
I beni comuni devono sì essere controllati e gestiti economicamente dallo Stato. Beni primari come l’acqua, l’energia, l’ambiente, le infrastrutture, le banche e la finanza, la sanità, l’educazione devono rimanere sotto il controllo dello Stato. 
Ma l’economia privata deve rispondere solo alle leggi di mercato domanda-offerta, deve essere libera e meritocratica, finanziata e tassata equamente dallo Stato, ma indipendente e competitiva.

Solo così si può porre fine al dualismo socialismo-capitalismo ormai vuoto di significato e sterile di contenuti e progredire verso l’implementazione di un nuovo modello socio-economico che possa davvero costituire una classe sociale con proprietà individuali, che interagisca a livello globale, che mantenga la propria sovranità territoriale, senza squilibri economici paradossali, senza razze predominanti e con la libertà di vivere ed agire senza limiti di frontiere e di ideologie.

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