Vanni Pettinà è un
ricercatore di storia politica latinoamericana, in paritcolare sulle
relazioni tra Stati Uniti e America Latina. Ha pubblicato un libro che ipotizza
un possibile drastico cambiamento nella politica di Cuba solo quando gli Stati
Uniti cancelleranno l’embargo che grava sull’isola.
“Cuba e Stati Uniti 1933-1959. Dal compromesso nazionalista al conflitto”, offre una visione diversa sui rapporti controversi
tra i due paesi, partendo dall’analisi della prima rivoluzione cubana del 1933.
Quella rivoluzione fù il germe di una modernizzazione del
paese, che sostituì il sistema oligarchico imperante ma che alla fine non si è mai
concretizzato. Questa ha portato prima alla dittatura di Fulgencio Batista ed
in seguito all’insurrezione castrista.
“Non fù un insuccesso della rivoluzione del 1933, ma del
sistema politico che nacque a partire da quella rivoluzione e che creò le
condizioni per la successiva del 1959”, che a sua volta fù “una risposta al
vuoto che si era formato prima di questo
precesso democratico degli anni ‘40”, spiega Pettinà.
“Si è sempre detto che la politica estera nordamericana
frustrò qualunque tentativo di sviluppo a Cuba, ma non è stato così”.
Dopo il 1933, continua “ci fù una covergenza tra il
nazionalismo cubano e la politica estera degli Stati Uniti, che non si è ripetuto, in
quanto nel 1959 la guerra fredda aveva cambiato la percezione nordamericana del
nazionalismo radicale cubano, a causa anche di quello che stava succedendo in
altri parti del mondo”.
Alla fine degli anni ’50 esisteva una differenza tra la
visione che avevano i funzionari del Dipartimento di Stato americano, i quali credevano che se 20 anni prima era stato possibile trovare una convergenza con
Cuba, questo poteva accadere di nuovo, e la visione degli ambasciatori politici
nominati dal presidente Dwight Eisenhower che al contrario riflettevano la
mentalità della guerra fredda.
Vinsero quest’ultimi nel definire le relazioni con
Cuba, visto anche la grande coalizione nazionale esistente sull’isola con Fidel
Castro.
“Questo conflitto tra il Dipartimento di Stato e
gli ambasciatori sarebbe diventato determinante al momento di fissare una
posizione di intransigenza verso la Cuba di Castro. In ogni caso, nonostante
quello che si disse dopo, le consequenze furono traumatiche per entrambi i paesi.
Tale attitudine si è radicalizzata fino al tentativo di invasione della ‘Baia
dei porci’ e prosegue tutt’oggi”.
“Le relazioni tra USA e Cuba sono congelate in un
epoca nella quale predominava questa guerra fredda. E’ come un racconto di spie
di Graham Greene o John Le Carre, Washington non ha mai agito così con nessun
altro paese al mondo, nemmeno con la Corea del Nord. Anche se sembra assurdo,
mostra più comprensione verso il regime di Pyongyang che verso la Cuba
castrista”.
Pettinà vede una facile uscita da questo conflitto con un cambiamento della politica degli Usa piuttosto che all’interno di Cuba
stessa.
“Chissà se un’eventuale secondo mandato di Obama a
Washington potrà migliorare le cose” prevede il ricercatore.
Ma il passo determinante sarebbe il ritiro dell’embargo
statunitense nei confronti di Cuba.
“Allora sparirebbe una delle maggiori
giustificazioni che ha il regime castrista per non cambiare nulla.
Cambierebbero completamente le carte che adesso sono sul tavolo”.
1 commento:
Molto interessante. Io detesto il castrismo, ma un gesto di distensione unilaterale da parte degli USA sarebbe importante.
Il problema è la concezione della situazione da parte degli statunitensi. Dopo la crisi dei missili e le nazionalizzazioni Castro è il nemico. Morto Castro, anzi i Castro (la storia ci ha donato i fratelli dittatori), io spero davvero che gli USA facciano un passo... Per spingere i generali chendi certo prenderanno il potere ad una soluzione politica e democratica.
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