29 settembre 2012

Cuba e Italia: omicidio di Lignano, la verità di Reiver

Camaguey, ore 12.30, Reparto di Puerto Azzurro, un quartiere periferico con case colorate, addossate a un dedalo di strade perpendicolari tra di loro. Al numero 20 c’è la villetta rosa della famiglia di Reiver Laborde Rico. È la casetta più curata e più linda dell’intero quartiere a conferma che la famiglia dei fratellastri accusati dell’omicidio dei coniugi Burgato, a Lignano, non se la passa male.

Abbiamo parcheggiato l’auto a circa 200 metri dall’abitazione di Rei, detto “Tyson”, in attesa di vederlo sbucare da qualche viuzza. La visita a casa sua, quattro ore prima, era stata infruttuosa. Anzi, la moglie aveva riferito che il marito era partito per l’Avana. Due colpi al finestrino dell’auto. Reiver - camicia blu e occhiali neri - si presenta. Sicuro. Tranquillo. Spavaldo. Apparentemente sereno.
È attorniato da un gruppo di ragazzi; tra loro un solo adulto. Accetta di scambiare due parole. «So che siete stati a casa mia questa mattina. Volete che torniamo lì, così stiamo più tranquilli». Parla un buon italiano e non fa trasparire nulla, Rei. Si convince a restare sul posto. Sicuro e disinvolto. Rei ascolta le domande impassibile. Ascolta. Non interrompe. Non dà segni di nervosisimo. E non si fa irretire dagli amici che lo consigliano a lasciar perdere.
Dice, Rei, di aver saputo del “casino”. Ma precisa di non saperne nulla e di essere convinto che sua sorella Lisandra abbia parlato e confessato perché sotto minaccia. «Io - afferma - sono partito da Lignano il 19 di agosto, mi sono fermato a Salerno e poi sono ripartito per Cuba. Scappato, io? Macchè, dovevo tornare da mia moglie perché doveva nascere il secondo figlio. È nato il 24 di agosto». «La notte del duplice omicidio - aggiunge - ero a casa, tranquillo, perché aspettavo di partire». Già, ma sua sorella lo ha tirato in ballo affermando che è stato lei il regista dell’agguato in villa. «Mia sorella se ha detto questo - aggiunge Rei - lo ha fatto perché è stata costretta con la forza. Nemmeno mia sorella c’entra. Quello che è accaduto in quella casa è opera di gente con le palle. Lei non sarebbe stata in grado di fare nulla del genere. L’hanno minacciata». Niente Italia. Rei riprende fiato. Si toglie gli occhiali scuri. Allarga le braccia. E riprende con la solita sicumera, senza mai indulgere all’incertezza o alla paura. «Sono tranquillo. Sono sereno. Non ho nulla da nascondere».
Sarà, ma non è allora il caso che torni in Italia a spiegare tutto, anche perché sua madre è intenzionata ad arrivare a Camaguey la prossima settimana per convincerla a rientrare a Lignano? Rei scuote la testa. Accenna un sorriso e riprende: «Se arriverà mia mamma, se arriveranno altri, spiegherò normalmente tutto e ripeterò quello che vi sto dicendo. Io con il delitto non ho nulla a che a fare. Non sono scappato a Cuba, ma sono tornato a Cuba perché stava nascendo la mia seconda figlia. Lo avevo detto a tutti, anche alla mia titolare della sala giochi». Gli amici lo strattonano. Gli dicono di smetterla. Tentano di convincerlo a lasciar perdere. Il più determinato è quello più anziano. Ma Rei vuole dimostrare che non ha motivo di avere paura. Che lui è sereno. Che lui è tranquillo. «Sì - insiste - avevo detto alla mia titolare che volevo tornare a Cuba per stare vicino a mia moglie che stava per partorire». Lo strattonano. Lo trascinano via. Lui non ha fretta. Saluta calmo. «Adesso vado, vi ho detto tutto. Sono tranquillo. Sono sereno. Non ho fatto nulla davvero». Qualche suo amico lancia occhiatacce di sfida e di minaccia. Lui no.
Rei ha ancora il tempo per un sorriso prima di varcare la soglia di una delle tante casette colorate della zona. Alza il braccio per l’ultima volta. Poi scompare dentro casa, probabilmente di proprietà di uno dei suoi tanti amici. Quelli che, in ogni caso, stanno dalla sua parte e lo proteggono. L’emigrante ricco. Ha tanti amici a Puerto Azzurro, Rei. Molti lo invidiano. Tanti lo stimano. Lui è partito per l’Italia. Ha visto l’Occidente opulento che trasuda merci e fame di ricchezza. Quando ritorna racconta, riferisce. Forse inventa, anche. Ma sicuramente si veste dell’emigrante che ha fatto fortuna. Di certo, a Rei i soldi piacciono. Secondo sua sorella Lisandra è stato lui a volere effettuare l’agguato ai Burgato. Lo scorso anno, mentre si trovava a Puerto Azzurro, gli aveva telefonato la mamma. La donna aveva ascoltato con disappunto i rumori di persone che arrivavano dal sottofondo. Aveva chiesto al figlio il motivo di tanto trambusto. Lui aveva ribattuto che in casa c’erano degli amici con cui stava festeggiando. La madre era rimasta male, perché la sua vita a Lignano era ed è sempre stata lavoro e sacrificio. Quelli che Rei e Lisandra non volevano sobbarcarsi, secondo il patrigno italiano.
Verso le 8.30 del mattino avevamo bussato nella villetta colore rosa al civico 20. Aveva aperto una donna. «È questa la casa di Rei?». «Sì», aveva replicato sospettosa. «Mio marito - aveva aggiunto con voce calma - è andato all’Avana e rientrerà la prossima settimana». Ma in realtà lui era poco distante.

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