Dalla pagina facebook di Roberto San Martin le sue ragioni e i suoi pensieri.
di Roberto San Martin
Può
darsi che alcuni di noi che se ne sono andati negli ultimi anni abbiamo chiaro
il momento nel quale hanno deciso di farlo. Io no. Per me è stato progressivo,
quasi senza accorgermene.
Iniziai questo cammino per il classico motivo cubano
che è la denuncia. A volte per banalità. Per quello che non c’è, che non
arriva, che non succede, per non sapere. O non potere.
La denuncia non è grave,
la cosa grave è che diventi un’infermità quando sembra che niente sembra
risolversi. Uno può accettare che le cose siano così, che questo è il tuo paese nel
bene e nel male, oppure può andare oltre, arrivare alla frustrazione.
Vale a dire scoprire
che la soluzione alla maggior parte dei problemi non sta nelle tue mani. O non
ti permettono di farlo. O ancora peggio: non sembrano importanti.
Abbandonare
o restare nel tuo paese è una decisione molto personale che non deve essere mai
giudicata in termini morali. Io ho scelto questo cammino perché volevo un futuro
differente da quello che vedevo a Cuba, e me sono andato cosciente che poteva
andare male, però ho accettato di correre il rischio. Non voglio mentire dicendo
che è stato doloroso. All’aeroporto non ho pianto. Al contrario, ero felice.
Dico di più, mi sentivo libero.
C’è
una ragione nel dire che la mia generazione non ha legami emozionali generati
da esperienze come la Baia dei Porci, la Crisi d’Ottobre o la guerra in Angola.
Ma non bisogna confondersi, anche io ho avuto le mie epoche, magari non così
epiche ma altrettanto distruttive.
Negli anni passati ho visto il paese
degradarsi nonostante i sacrifici dei miei genitori. Ho visto i miei maestri
delle elementari e delle medie andarsene. Ho visto famiglie discutere per il
diritto di mangiare il pane. Ho visto il malecon pieno di gente nervosa
gridando contro il governo e gente ancora più nervosa gridando a favore. Ho
visto giovani costruendo zattere per andare chi sa dove, e una folla gettare
merda di gatto contro la casa di un “traditore”. Ho visto anche una cane
mangiarsi un altro cane all’Havana.
E ho visto mio padre, che è stato in
Angola, impallidire senza risposte, quando il custode di un hotel gli disse che
non poteva camminare su una spiaggia di Jibacoa (di fronte al campeggio
internazionale) perché era cubano. Io ero con lui. Io l’ho visto. Avevo dieci
anni, e un bambino di dieci anni non dimentica come la dignità di suo padre va
in merda. Nonostante sia tornato dalla guerra con tre medaglie.
Parlate
delle conquiste sociali della Rivoluzione. Dell’educazione e della medicina.
Parliamo della mia educazione. Ho avuto buoni maestri e quando se ne sono
andati sono stati sostituiti da altri meno preparati che, a loro volta, sono
stati rimpiazzati da lavoratori sociali che scrivevano “experiencia” con la “s”
e non erano capaci di segnalare su una mappa cinque capitali latinoamericane.
I
miei genitori hanno dovuto pagare maestri privati perché io potessi imparare
qualcosa. Non li pagavano loro ma una mia zia che viveva a Toronto. Essendo
onesto, buona parte della mia formazione la devo ai clienti del ristorante greco
dove lavorava mia zia.
C’è dell’altro. Ai tempi di mia sorella maggiore era molto
raro che uno studente prendesse un 10 a scuola. Nella mia epoca il dieci
divennero comuni, non perché gli alunni fossero più brillanti, ma perché i
professori diminuirono le loro esigenze per camuffare il disastro scolastico.
Sapete una cosa? Sono stato fortunato, perché quelli che sono venuti dopo di me
hanno avuto come professore un televisore.
Della
medicina ho poco da dire, salvo il fatto che continuando ad essere gratuita,
cosa ammirevole, lo stato degli ospedali, la precarietà dei medici mal pagati e
la crescente corruzione spingono ancor di più il sistema della salute verso una
condizione da terzo mondo. E’ sicuro che oggi un cubano che abbia soldi ha maggiori probabilità di avere un
trattamento migliore (facendo regali o semplicemente pagando) rispetto a chi non
ne ha, anche se illegalmente.
La medicina di cui dispongono i cubani oggi è
peggiore di quella che avevano i miei genitori.
Si
dice che il paese fa un grande sforzo, che esiste l’embargo.
Io dico che esiste
un governo che da 50 anni continua a prendere decisioni per il popolo cubano.
E
se stiamo dove stiamo, la cosa migliore sarebbe ammettere che non hanno saputo,
o non hanno potuto o non hanno voluto fare le cose in un altro modo.
Qualunque
sia la ragione. Perché anche il fallimento è pieno di ragioni. Invece di
trincerarsi dietro figure storiche nel Consiglio di Stato, dovrebbero lasciare il
passo a chi viene dopo di loro.
E’ frustrante che per un giovane come me da 50
anni non si produce un ricambio generazionale perché il governo non lo ha
permesso. Io non dico che dovrebbero dare il potere a me che ho 28 anni. Parlo
dei cubani di 40, 50 anche 60 anni che non hanno mai avuto la possibilità di
decidere.
Perché le persone che hanno quest’età e occupano posti di
responsabilità a Cuba non sono stati formati per prendere delle decisioni, ma
per approvarle. Non sono dirigenti, sono funzionari. E qui includo sia i
ministri che i delegati dell’Assemblea Nazionale. Fanno parte di un sistema
verticale che non lascia margine affinché possano esercitare l’autonomia che
gli corrisponde. Invece di chiedere perdono, chiedono permesso.
Voi
pensate che ce ne siamo andati scegliendo il cammino più facile, che è più duro
restare e risolvere i problemi.
Devo dire che i miei nonni e miei genitori sono
rimasti a Cuba per combattere questi problemi. Rinunciarono a molte cose per la
Rivoluzione fino a rischiare la vita per lei. Per darmi un paese avanzato, equo
e progressista.
Ma quello che mi hanno dato è un paese dove la gente celebra l’acquisto
di una macchina o di una casa come una conquista. Ma non è una conquista, è
qualcosa che avevano anche prima della Rivoluzione.
Dove siamo arrivati? A
considerare un successo qualcosa di basilare? Quante altre cose basilari
abbiamo perso in questi anni?
Per i miei genitori è doloroso accettare questa
sconfitta, non vogliono questo per me.
Non vogliono che con i loro 55 anni io
abbia denaro insufficiente per vivere, né soldi ne libreta. Perché non basta.
E non vogliono che io sopravviva con il
mercato nero, la corruzione, la doppia morale, continuando a fingere.
Preferiscono che io stia lontano.
A 28 anni mi sono convertito nella sicurezza
sociale dei miei genitori. Come credete che sopravvivano con 650 pesos?
Ce
ne siamo dovuto andare in centinaia di migliaia per non far spezzare il nostro
paese. Quello che Cuba guadagna con le nostre rimesse di denaro è superiore al
totale delle sue esportazioni.
Di sicuro il paese ha perso gioventù e talento e
invece di aprire un dibattito reale su come fermare questa emorragia, continua
ancorato ad un immobilismo ideologico che non è altro che paura del futuro.
E
che ci faccio in un paese dove i governanti hanno paura del futuro? Aspettare
che muoiano? Aspettare che cambino le leggi per generosità e non per convinzione?
Che ci faccio in un paese che continua premiando l'intransigenza politica
prima del talento? A cosa posso aspirare se non è sufficiente quello che sono e
quello che faccio? A convertirmi in un cinico?
Lasciare
il proprio paese e la propria famiglia non è un cammino facile. Nemmeno la
soluzione, è solo un inizio.
Te ne vai in un’altra cultura, devi imparare un’altra
lingua, si passano momenti negativi. Ti senti solo. Però almeno hai il sollievo
di sapere che con uno sforzo puoi ottenere qualcosa.
Il mio primo inverno in
Bulgaria è stato molto duro, trovai lavoro come facchino e ho passato quattro
mesi trasportando lavatrici per risparmiare denaro e andare a visitare la
Turchia. Una illusione che avevo sin da bambino. E ci sono andato. Non ho
dovuto chiedere il permesso per uscire.
Ho conosciuto altre realtà, le ho
potute comparare. Ho scoperto che il mondo è infinitamente imperfetto e che noi
cubani non siamo al centro di niente.
Ho anche scoperto che andarmene non ha
cambiato le mie convinzioni di sinistra. Perché quello che c’è a Cuba non è di
sinistra. Chiamatelo come volete, ma non è sinistra. Io sto dalla parte di chi
cerca il progresso sociale con eguaglianza di opportunità e senza esclusioni.
In qualunque modo la pensi. Senza settarismi né trincee. Perché questo serve
solamente a sostituire verità con dogma.
Infine
la sorte ha voluto che arrivassi in un paese che è stato governato da un
partito e una ideologia unica.
Qui non c’è stata una rivoluzione di velluto
come in Cecoslovacchia, né è stato abbattuto un muro come a Berlino, nemmeno
hanno fucilato un presidente come in Romania.
Qui, come a Cuba, la gente non
conosceva i suoi dissidenti. Qui non esistevano crepe, nonostante questo in una settimana
sono passati dall’essere uno stato socialista a una repubblica parlamentare. E
nessuno protestò. Nessuno si lamentò.
Non posso evitare di domandarmi, sono
forse passati 40 anni fingendo?
Da allora non hanno avuto un cammino roseo,
hanno affrontato varie crisi, il popolo è passato ad un livello di vita
peggiore rispetto agli anni ’80, però curiosamente, la stragrande maggioranza
dei bulgari non vuole tornare indietro.
E pensare che il socialismo che hanno
lasciato i bulgari era più prospero di quello che abbiamo a Cuba.
Ma in questo
paese non pensano al passato, pensano al presente. Nel migliorare l’economia,
nel risolvere le diseguaglianze, nel combattere la doppia morale, l’individualismo
e la corruzione generata dalla stato per decadi.
Il
giorno in cui questo presente diventi importante per Cuba, senza alcun dubbio
verremo all’Havana.
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