07 settembre 2008

Riflessioni su Cuba: ancorato nell'isola?

di Juan Carlos Rivera Quintana da Conexion Cubana
"Non troverai nuove terre, non troverai altri mari.
La città ti seguirà.
Vagherai per le stesse strade.

E nello stesso quartiere ti farai vecchio;
e tra le stesse pareti andrai incancrendo.
Sempre arriverai a questa città. "

C. P. Cavafis


Sempre arriverei in questa città alle spalle del fiume, con spilli nel cuore, ascoltando canzoni che mi ricordano le poche scarpe che avevo ed i pantaloni blu collegio - come l'isola - che mia madre lavava durante la notte e li stendeva dietro il frigorifero per poi stirarli la mattina.

La vita non è più come prima, il mio armadio si è riempito di camicie di tutti i colori che ho sempre desiderato, e usato pochissimo, decine di pantaloni sono piegati indifferenti tra i miei appendiabiti d’abbondanza, ma una rara incertezza persiste, che la mia pelle non sia più mia, mi perseguita il soprassalto di voler riempire tutti i vuoti della mia anima.

Mi sento solo senza il parco del quartiere con le luci rotte, e torno a montare il “cachumbambe” (giostra per bambini), di tavole rotte e ferro arruggginito, cerco ancora la valigia verde che aveva fatto mio padre, soprannominato “el botiquin” dai miei compagni di classe, ma io non sono più in imbarazzo dai motti né dalle risate contagiose.

Una strana miscela di sapori e odori non proviene più dalla cucina di mia madre, non ho avuto alcuna possibilità di giungere al suo funerale, se ne andò sulla porta di casa, e non ha mai voluto riaprire gli occhi / non conosco nemmeno la tomba che contiene il suo corpo, e non ho potuto nemmeno portarle un mazzo di fiori gialli / le sue rose sono a migliaia di kilometri da dove riposa, gli svantaggi di vivere su un'isola sotto assedio.
Mentre le previsioni viaggiano tra le righe l'orizzonte, mia sorella continua ancora a mettere nei bicchieri d’acqua il chinino per ripararsi dal mal’occhio, pregando ogni sera e chiedendo salute
e prosperità che non arriva.

Cerco di inventare parole, ma continuo ancorato a questo pezzo di terra colorata, con uno strano odore di asfalto e di cenere, resisto culturalmente al localismo ed alle voci che suonano aliene, anche se ho appena ricevuto un'altra lettera di cittadinanza.

Domani sarà un’altra mappa, un’altra strada, un altro immaginario, vagherò in un'altra città, un torrido pisolino provinciale dal quale non voglio svegliarmi, uscirà il sole timido da questo culo del mondo, e mi troverà seduto sul marciapiede dove guardo passare i senza terra, allora tutto mi sarà gravemente indifferente, come i crocevia delle strade che si biforcano, e non conducono più alla terraferma.

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