25 settembre 2012

Cambio a Cuba: 'Esistiamo!' dall'autore di 'lettera di un giovane che se ne è andato'.


Mi chiamo Ivan Lopez Monreal, qualche settimana fa ho scritto una lettera aperta per spiegare la mia posizione come giovane cubano emigrato. L’ho fatto perché lo volevo fare, non perché qualcuno me lo ha chiesto. L’ho fatto da solo, a casa mia. Senza parlarne con amici, ne con la mia fidanzata, nemmeno con i miei genitori, che vivono a Cuba e che sono forse i più implicati in questo testo. L’ho fatto rispettando chi difende una posizione diversa dalla mia. L’ho fatto senza offese.


La risposta arrivata da blog ufficiali, simpatizzanti del governo, è stata che io non esisto, sono una menzogna, un’infamia, una maschera attraverso la quale si nasconde un nemico della rivoluzione. Sono un manipolatore, tergiverso, sono un pericoloso involuto che vuole intossicare i giovani con messaggi carichi di debolezze. Dicono che dietro di me c’è la CIA, l’USAID, la mafia di Miami. La spazzatura dell’esilio. I vermi infuriati.

Dovendo essere corretto, la persona alla quale era indirizzata la mia lettera, Rafael Hernandez, si è mantenuta al margine di questi attacchi, mandandomi una mail con la quale mi ringraziava per il dibattito generato. E questo gli fa onore. Ho tardato qualche giorno a rispondergli, in privato, perché non volevo creare problemi  a nessuno, men che meno alla mia famiglia, ma qualcuno ha interpretato il mio silenzio come parte di un’operazione cospirativa, una prova del fatto che non esisto. Che sono un fantasma. Altrimenti perché non sono in facebook?, in twitter, perché non ho un blog, come è possibile che non ho mai pubblicato niente prima? Evidentemente devo essere un professionista della controrivoluzione per dire le cose che dico. Sono arrivati a suggerire che la lettera è troppo perfetta per essere vera.

Per questi blogger, noi giovani cubani non abbiamo la capacità di analizzare e giudicare in forma critica la società nella quale viviamo. E se lo facciamo, separandoci dalla dottrina ufficiale, significa che qualcuno ci manipola. Loro no. Loro spiegano e convincono. Per questo non gli piace la mia visone di Cuba. La mie parole gli sono sembrate false, sbagliate e pericolose. Mi chiedono di ricordare quella frase che Che Guevara diceva “all’imperialismo non gli si può lasciare nemmeno un pezzettino così”. E questo giustifica tutto. Perché a Cuba bisogna stare zitti per non dare pretesti. Bisogna solo avere fiducia nelle decisioni del nostro governo, e sì, puoi lamentarti se non lo fai davanti a una telecamera o un microfono aperto. Perché non si interpretino male le tue parole, perché il tuo discorso non sembri quello di un dissidente, perché nessuno commetta l’errore di pensare che nei temi difficili sia possibile il disaccordo. Dicono che è un sacrificio necessario, un atto di fedeltà. Per me è un modo per alimentare il fanatismo. Perché solo un fanatico, un incosciente o un immorale può negare la realtà del paese e accusare quelli che la denunciano di essere mercenari.

Io ho detto quello che penso dalla mia verità e dal mio dolore. Sono cubano, a enche se vivo in Bulgaria o in Kamchaka continuerò ad esserlo. Magari potessi spogliarmi dell’identità come faccio con i vestiti. Magari potessi rinunciare al mio passaporto e ricominciare da zero, sarebbe più comodo per me e per la mia famiglia, ma non posso. Non so farlo. Così che non mi resta altro rimedio che accettare la mia condizione di emigrato e pagarne le conseguenze. Perché per questo sì che esisto. Per pagare per ogni gestione, ogni documento, ogni permesso che mi serve, incluso tornare a camminare nel paese dove sono nato. Esisto per pagare non per opinare. Per questo mi negano. Mi cancellano. Mi annullano.

Da molti anni si nega la realtà che non si vuole vedere. E preferibile adombrare tutto quello che è scomodo mentre ci si appella ad un eroismo da barricata. Perché un rivoluzionario che dubita è un rivoluzionario debole. E si nega il dubbio come si nega la paura e la differenza. Loro vedono l’ideologia non come un’opzione politica ma come un catechismo limitato e che impoverisce. Dicono di leggere il Che come i vescovi fanno con i vangeli. E questo basta.

Diceva Miguel de Unamuno che “il fascismo si cura leggendo e il razzismo si cura viaggiando”. Perché non c’è nulla come sommarsi al mondo per collocare le tue idee nel posto che le corrisponde. Senza demagogie ne deliri. E sì. Bisogna leggere il Che, che fece una rivoluzione con le armi in mano e bisogna leggere Ghandi che ha fatto la sua, più umana e profonda, senza sparare un colpo. Bisogna anche leggere Marx e Lenin, ma anche Adam Smith e Keynes. Bisogna leggere Mijal Shojolov per conoscere l’epica della rivoluzione russa e a Solzhenitsyn per scoprire la desolata tragedia dello stalinismo.

Abbiamo il diritto di sapere e pensare. E nessuno dovrebbe basarsi su questo per criminalizzare il tuo modo di intendere la società. Ne per chiamarti anti-patriota. Ne per annullarti. Nessuno dovrebbe avvalersi della tua opinione per convertiti in nemico pubblico. Ne per insultarti. Ne per condannarti. Anche se lo fa in nome della sovranità nazionale. Perché non è la verità. Questo cerca solo che quelli che la pensano come te abbiamo la sensibilità comune di azzittirsi. O che almeno limitino il malcontento al corridoio della propria casa, ai giardini interni, alla tavola della cucina. A spazi dove nessuno li possa ascoltare.

Per questo hanno cambiato la quotidianità cubana in un immenso esercizio di ipocrisia che beneficia solo gli opportunisti. Perché nessuno si creda niente. Perché è impossibile difendere con onestà uno Stato che si impegna nel rendere le cose ogni giorno più difficili, che disprezza la popolazione soffocandola di permessi e proibizioni. Uno Stato che non da spiegazioni. Mai. Per niente. E cerca uno spiraglio di sopravvivenza per  affrontarlo con leggi abusive che aumentano ancor di più il furto e la doppia morale. Uno Stato impegnato  nel  vivere una realtà fittizia negando la realtà. Quella di tutti i giorni. Quella della prepotenza e dell’abuso, quella del colera e del dengue, quella di ‘questo è una merda’ e si salvi chi può.

Questa realtà esiste, come esistono quelli che soffrono e desiderano che cambi. Alcuni per avere un soldo per arrivare a fine mese, o i mercati all’ingrosso, o ospedali migliori, scuole, strade, imposte più giuste, o accesso a internet. Altri per poter uscire e entrare dal paese senza niente di più di un passaporto. Un semplice passaporto con il tuo nome e la tua foto. Senza umiliazioni. E senza dover andare  ai consolati a pagare per la tua condizione di cubano come se fosse una multa. Perché non è una multa. E’ la mia nazionalità. E non la scelsi come non scelsi i miei genitori. Nacqui con questo diritto. E sono stufo che mi facciano pagare e mi sbeffeggino per questo.

Voglio un cambio perché finisca tutto questo. E voglio un cambio per legalizzare altre opzioni politiche, non perché creda che la democrazia sia la soluzione magica ai nostri problemi, perché non lo è, però almeno farà in modo che i nostri leader la finiscano di sentirsi intoccabili. Perché gli errori si pagano, e il fallimento anche. E se io mi sbaglio e me ne assumo le conseguenze, dobbiamo esigere la stessa cosa da chi ci governa. Si chiami come si chiami. E vesta l’uniforme che vesta.

Anche mio padre vuole un cambio, con la sua tessera di partito e le sue medaglie. Perché è stufo che gli aumentino il prezzo del cibo, che il Granma gli menta, del fatto che ogni giorno è più difficile racimolare qualcosa legalmente. Stufo che lo Stato gli faccia pagare i servizi con una moneta diversa da quella del suo salario. Stufo di vedere nelle notizia una Cuba che non esiste. Perché lui sì che esiste, lui è reale e sa che negare i problemi serve solo ad aggravarli. Mio padre la pensa come me in molte cose e non è un dissidente. E’ un rivoluzionario con una carriera di militanza che difficilmente possono vantare quelli che mi accusano di essere un mercenario. Ma le decisioni politiche del mio paese hanno fatto si che svariate generazioni con esperienze distinte, arrivassero oggi ad una conclusione simile: così non si può andare avanti.

E lo Stato lo sa, però non lo vuole ammettere. Le figure storiche della rivoluzione preferiscono guardare da un’altra parte. Preferiscono guadagnare tempo perché sanno che, per fortuna, moriranno prima che tutto crolli. Così la storia colpevolizzerà solo quelli che seguiranno. “Dopo di me il diluvio”, diceva Luigi XIV. Questa è la filosofia che regge l’immobilismo, che non succeda come a Gorbachov, che cercando di perfezionare il sistema finì per smontaro.
E loro non vogliono questo. Loro vogliono morire in trincea perché danno per scontato che abbattere Batista li ha legittimati per sempre, se a qualcuno questo non piace, che prenda un fucile e inizi un’altra rivoluzione. Ci vedono incapaci di costruire una società plurale dove possano esistere le idee di uno e dell’altro, senza offenderci o ammazzarci. Per loro (e per qualcuno di Miami) l’unico modo di cambiare il governo è con la forza. Come se Cuba fosse condannata ad un interminabile ciclo di violenza attuato dai salvatori della patria. E dove il vincitore, come nel casinò, si prende tutto. Lo pensano perché non sono politici, sono sempre stati soldati e parafrasando quella memorabile lettera che scrisse Josè Martì al generalissimo Gomèz, “hanno governato il paese come si guida un accampamento”.

Ma Cuba non è un accampamento. E ritardare il cambio solo servirà a rendere tutto più difficile. Più amaro. Lo so io, lo sanno anche i blogger ufficiali che parlano di resistere quando io parlo di corruzione, mi parlano di imperialismo quando io parlo di perdita di valori. Che mi parlano di quanto male c’è nel modo, quando io parlo di quanto male c’è nel mio paese. Loro dicono che preferiscono combattere la corruzione stando là, anche se non pubblicano mai le loro denunce. Anche se non alzarono mai la voce quando non potevamo entrare negli hotel ne calpestare alcune spiagge.  A loro sembra giusto che siamo il paese del Sudamerica con più censura e meno accesso a internet. E che non ci sia una università cubana tra le prime 50 migliori dell’America Latina (quella dell’Havana è al 64° posto, quella di Las Villas al 149°), loro non hanno mai chiesto le dimissioni di un dirigente nonostante marciscano tonnellate di cibo di un magazzino del porto, o muoiano di freddo tenta malati di mente (uno scandalo che in un altro paese sarebbe costato l’incarico del ministro della salute). Loro non chiedono spiegazioni perché il primo dovere di un giornalista rivoluzionario non è informare il popolo, ma difendere e giustificare il governo che li paga.

Loro dicono che un partito è sufficiente, anche se questo implica conformarsi con una sola verità.

Io non posso. Non voglio. Non accetto un pensiero unico perché non credo negli 'eletti' o profeti. Io non posso accettare che il mio paese possa essere quello che decide una sola persona. Non lo voglio io, non lo vogliono nemmeno tutti questi cubani che oggi vivono stanchi di slogan e discorsi. E aspirano solamente ad una vita un pò più dignitosa. Questi cubani  che vanno alla marcia del 1° di Maggio, alle riunioni del CDR e gridano Socialismo o Morte! Ma nessuno darà la vita per un progetto che ha diviso le loro famiglie e ha mancato quasi tutte le promesse.

Questi cubani seguono lì. Sono membri del partito, professori, lavoratori in proprio, medici, tassisti, sono sociologi come Diosnara Ortaga (magnifica la tua lettera), sono redattori del Granma, militari, cineasta, sportivi. Incluso delegati del Potere Popolare.

Questi cubani esistono. Sono reali. E non sono trenta ne cento mila.

Sono milioni. 

4 commenti:

Riccardo ha detto...

Bellissima lettera!! E' una realtà amara che vivono i cubani emigrati... Non si può continuare ad affliggere un popolo con leggi assurde e liberticide ...

Roberto Ferranti ha detto...

Una realtà che se non inizierà a cambiare presto porterà a drammatiche conseguenze, ogni sacrificio ha dei limiti, se poi sono sacrifici incomprensibili il limite rischia di essere superato improvvisamente, non voglio immaginare quanto tragico potrebbe essere!

Anonimo ha detto...

bravissimo Roberto a portare all'attenzione queste realtà.
Fai un gran lavoro in Italia per "capire" cosa succede a Cuba.

Niki ha detto...

Il problema che non tutti, anzi quasi nessuno, pur condividendo il tema e le affermazioni del giovane vogliono parlare di quest'argomento.
La paura di ritorsioni sulla famiglia a cuba e la paura di essere considerati indesiderabili quindi il diniego a rientrare anche solo come turisti frena quasi tutti.
Ci fù, qualche anno fa, una manifestazione a favore della libertà di cuba, in contemporanea sia in spagna che in italia che in altri capitali europee a grande immigrazione cubana che videro un partecipazione talmente esigua che praticamente solo simpatizzanti locali parteciparono.