26 luglio 2012

Dissidenti a Cuba: gli amori di Oswaldo


Mia madre mi insegnò che non bisogna mai dare valore alla gente per la loro posizione politica perché sarebbe ingannevole, “guarda come si comportano nella vita quotidiana, con la loro famiglia, con i loro amici e nel loro lavoro. Non ti sbaglierai perché nessuno può fingere così tanto”.

L’ho ricordato con la morte di Oswaldo Payà, che ho conosciuto agli inizi degli anni ’90, quando era un cattolico praticante, tanto che ci vedevamo nei templi. Non potrei dire quante volte ci siamo incontrati da allora ma furono moltissime.
Dopo quel periodo iniziò a riceverci a casa sua e le interviste non terminavano mai con l’ultima domanda, la sua tattica era offrire alla fine un caffè per iniziare un dibattito durante il quale dava l’impressione di contrastare i suoi stessi criteri in merito alla realtà nazionale.

Poche volte eravamo d’accordo, come succede quasi sempre tra un politico e un giornalista, ma questo rendeva la conversazione ancora più interessante. 
A parte il fatto che era una persona appassionata e di convinzioni solide, sapeva mantenere un dialogo rispettoso.
Inoltre Oswaldo prestava sempre attenzione alle voci del popolo, molto più di altri dissidenti. Non viveva isolato, dirigeva il gruppo oppositore con il maggior numero di simpatizzanti, capace di raccogliere 15.000 firme, era vincolato ai cristiani e si guadagnava il pane lavorando.

Questo ultimo particolare è molto importante, secondo mia madre, per definire la qualità umana di una persona. 
Soprattutto perché nella Saluta Pubblica i suoi compagni di lavoro, incluso i più rivoluzionari, riconoscono che era un lavoratore abile e responsabile. 
In generale mi concedeva le interviste a mezzogiorno o dopo le 4 del pomeriggio, perché prima andava di ospedale in ospedale a riparare equipaggiamenti medici. Di sicuro aveva più tempo di altri, perché non veniva invitato alle riunioni del sindacato, dell’amministrazione o del partito.

Durante due decadi ho visitato la sua dimora in cerca di opinioni su vari temi. Da intervista in intervista ho visto come crescevano i suoi figli e ho percepito la relazione con sua moglie, che alla fine si presentava sempre con un caffè e si univa alla conversazione.
Ho ricordato quegli incontri mentre vedevo nella chiesa del Cerro il dolore della sua famiglia, la franchezza della vedova quando ricordava ai dissidenti presenti nel tempio, che alla veglia funebre si prega non si lanciano slogan politici.

Perché i Payà sono veramente una famiglia cristiana. Il governo accusava Oswaldo di utilizzare la chiesa come trampolino per lo sviluppo delle sue attività politiche, ma io credo che lui era lì ancora prima, prima era un cattolico e poi un dissidente.
Davanti all’urna il vescovo Juan de Dios Hernandez disse che aveva tre amori nella sua vita: Cuba, la chiesa e Gesù Cristo. Aggiunse che non sempre gli fu facile armonizzare queste fedi e chi lo conosce sa che negli ultimi anni questo lo preoccupava molto.

Nella conversazioni più recenti si percepiva una certa amarezza per la posizione delle autorità ecclesiastiche nei confronti di Raul Castro. Era convinto che cospiravano per creare un partito democristiano sostitutivo della dissidenza.
Inoltre accusava sempre le persone, mai la chiesa cattolica. Verso questa aveva una fedeltà assoluta, comparabile solamente a quella che sentono i comunisti per il loro partito. Il mio scetticismo vitale si soprendeva sempre davanti a tale devozione.
Però non aveva più la stessa fede nei confronti della sua chiesa, Oswaldo era diventato un ostacolo per migliorare le relazioni con il governo cubano,, una politica che iniziò nel Febbraio del 2008, con la visita del segretario dello Stato Vaticano Tarcisio Bertone a Cuba.

Non è un caso se questo cardinale fu il primo che Raul Castro invitò per un incontro poco dopo essere diventato presidente, e nemmeno che evitò di dialogare con la dissidenza. 
Oswaldo poi mi ha assicurato che era una manovra tattica, evitava di vedere che eravamo davanti ad un cambiamento strategico.

Ma tutto questo andare e venire della politica sono solo storie carenti di valore davanti alla presenza implacabile della morte. 
Da parte mia desidero che Oswaldo abbia ragione nella sua certezza dell’esistenza di Dio e che possa riposare in pace.

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