18 febbraio 2011

Vivere a Cuba: per la strada no!

"La politica è il commercio dei morti", dice una madre cubana in Las Iniciales de la Tierra, opera capolavoro di Jesus Diaz che a suo tempo aspirava ad essere il romanzo della rivoluzione.

Sembra una frase saggia. Politica interna di chi ha visto tutto questo da casa sua durante l'incontenibile carnevale di cadaveri che i nostri poeti patetici hanno chiamato Repubblica.
La scena del romanzo scende in una notte durante i primi anni '60. Con la rivoluzione non dovrebbe essere differente. La violenza è l'unica vox-populi verosimile tra vicini. Il vivo vive dello stupido. Il cimitero come fonte di diritto secolare. La madre cubana come belva che difende la sua prole dal'lentusiasmo della massa cieca. Chi saprebbe leggere così oggi!

Uno scenario nazionale svuotato di spontaneità diventa ipso-facto di un pupazzo di fuori porta. Tutte le istituzioni sono illusorie. Devi diffidare degli altri proprio per essere un burattino. Il segreto come misura di tutte le cose. Il più basso atto pubblico di volontà compromette niente di meno che la stessa sicurezza di Stato e merita la massima pena, alla cima degli orrori con una parvenza di legalità. In queste condizioni la strada è per la plebe.
Sembrerebbero morofologicamente, però sarebbe immorale chiedere delle pere ad un avocado, come se si arringa cinicamente fuori dalla nostra piccola fattoria post-siboney.

Le consequenze di una pace postuma così prolungata sono sicuramente nefaste per la nostra nozione di società civile, però forse ci sono alcuni vantaggi collaterali. Noi cubani ci rifiutiamo di ammazzarci come carogne davanti alle telecamere e microfoni di chi si annoia sull'isola con i suoi alti euro-salari.
I cubani hanno perso l'ingenuità di chiocciare credibili slogan (la polifonia sta vincendo il coro da sotto la manica). I cubani hanno perso la loro politicità e, nella lotta vitale quotidiana, non ci manca per niente.

Già nella fase terminale di un lungo e tortuoso totalitarismo di Stato, non abbiamo nessuna fretta di pagare il prezzo del talco con un cambiamento di rotta cupo, sangue-rivoluzionario. C'è una sfiducia costituzionale in qualunque cambiamento senza controllo. Non è paura, è memoria. E per questo deleghiamo la disgrazia nei guru lordi del nostro governo. Che si macinino loro lassù con le loro mille mutazioni ministeriali. Che sbaglino e rettifichino e consumino nella loro demagogia trionfalista.
Che si credino Cristi materialisti dalla tribuna delle loro biologie ottagenarie. In definitiva, il tempo del nostro romanzo privato è eterno (chi aspetta tanto, aspetta poco). In ogni caso noi cubani siamo oggi come quella madre cubana che nessuno leggerà di nuovo in una piccola scena di
Las Iniciales de la Tierra.

Commercio. Morte. Dal nostro infantilismo storico siamo maturati come popolo dopo tutto. La resistenza a Cuba oggi passa nell'aggrapparsi con fede futile alla vita. Rinasce questa malattia effimera chiamata speranza. La migliore insubordinazione sarà quindi sopravvivere in pieno al Consiglio di Stato. Senza la necessità di uscire per la strada, senza chiamate più o meno carismatiche o criminali, la Rivoluzione ha perso questo plebiscito del futuro all'unanimità.

di Orlando Luis Pardo Lazo (foto dell'autore)

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