26 febbraio 2011

Cambio a Cuba: fantasie e realtà di una "ribellione" virtuale

Un paio di settimane fa dopo il successo della rivolta in Tunisia ed Egitto, si è scatenato su Facebook e Twitter un richiamo epr un sollevamento popolare a Cuba.
Il richiamo alla rivolta sull'isola, pormosso da dissidenti residenti in Europa, incitava ad una scesa massiva per le strade cubane per spingere il popolo ad abbattere il regime.

Ho già avuto modo di scrivere sul tema, esprimendo quanto sia facile per chi risiede comodamente in una paese che li rende privilegiati incitare ad una rivolta che sarebbe necessariamente violenta, quanto sia facile scrivere in rete frasi di ribellioni e incitamenti ad un sollevamento che a Cuba non solo non è sentito, ma che non porterebbe a nulla se non ad una reazione del Governo ferma e, chissà, ad una nuova onda di repressione, proprio ora che si stanno aprendo nuove prospettive da parte del Governo mirate ad una revisione sulle politiche economiche e sociali, che 50 anni erano in stallo a Cuba.

Inoltre ho ampiamente descritto le differenze sociali, culturali e storiche che rendono i paesi arabi e Cuba sostanzialmente differenti, rendendo utopica una rivolta popolare contro il Governo sull'isola simile a quelle del Magreb.

Infine vorrei sottolineare come dopo un iniziale entusiasmo globale, oggi in Egitto il potere è gestito dai militari, il Governo è composto per la maggior parte dagli stessi personaggi che formavano il parlamento di Mubarak, che persitono in carcere centinaia di prigionieri politici, che i leader pacifici della rivolta non vengono più idolatrati dalle masse, al contrario si sta affacciando sul panorama regiziano la pericolosa presenza degli oltranzisti islamici, visti come una possibile alternativa.

Tornando agli europei e americani che incitano alla rivolta cubana, pubblico di seguito un eccellente post di Miriam Celaya, bloggera havanera, che esprime con chiarezza i suoi dubbi sull'eventuale possibilità di un sollevamento popolare a Cuba.

Rob Ferranti

Fantasie e realtà di una "ribellione" virtuale

A volte costa molto calcolare fino a dove i media possono realizzare aspettative immaginarie. Il processo di sollevamento popolare avvenuto in alcuni paesi del nord Africa contro i loro governi dittatoriali, come la lunga protesta egiziana, ha portato inevitabilmente alla comparazione con Cuba, che ha il triste record di possedere la più lunga dittatura nell'emisfero occidentale.
Così si è diffusa la speranza di un numero indeterminato di cubani emigrati all'estero che credono sia arrivato il momento ("adesso o mai più") di convocare un sollevamento popolare pacifico all'interno dell'isola.

La proposta più forte sembra arrivare da due cubani che risiedono in Europa e che hanno lanciato una convocazione per una rivolta, con una data di inizio dal 19 al 26 Febbraio, (la data è passata e nulla è successo a Cuba, anche all'estero la partecipazione degli "esiliati" è stata miseramente scarsa n.d.e.) divulgata da loro stessi tramite le reti sopciali di Facebook e Twitter.
La turbolenza che ha suscitato questa proposta nei media interessati nella situazione cubana, principalmente in Florida, ma anche in alcuni paesi europei, obbliga a riflettere sul tema.
E' il momento opportuno per stabilire certe considerazioni che senza dubbio i più appassionati "pro-rivolta" non condivideranno.

Passiamo discretamente sul fatto questionabile che risulta convocare manifestazioni di civili a Cuba dall'estero, tenendo conto che gli autori intellettuali (o "cyber-messia come richiede l'era informatica) non hanno confermato un loro sbarco sull'isola per porsi alla guida dell'immaginaria rivolta; ergo che la carrozzaria per il massacro la mettiamo noi da quì.
Mi perdonino i lettori che hanno messo la loro fede in questo nuovo "adesso si!" che ci arriva da lontano, però se il tema non fosse così serio, risulterebbe risibile. Guardiamo solo qualche piccolo dettaglio, come il fatto che a Cuba praticamente non c'è accesso a internet e nemmeno sono numerosi i cubani con accesso alle reti sociali. Questo rende quasi impossibile che un processo democratico inizi per via virtuale, che sia dai computer o forse semplicemente dai cellulari dei nostri agguerriti cyber-leaders del momento.

Ovviamo a questa mera circostanza, mi riferisco alla nostra carenza informatica, supponendo che la chiamata alla rivolta arrivi nascosta nell'involucro di un sigaro e analizziamo il suo impatto e speranze della realtà cubana.
E' ovvio che a Cuba esistono le condizioni affinchè si produca un focolaio sociale: la persistenza di una dittatura da più di 50 anni, una crisi economica permanente come risultato dell'insuccesso del sistema, una popolazione che sopravvive in un equilibrio precario tra povertà e miseria, la perdita di fede nel Governo, l'incertezza verso un futuro potenzialmente devastante, etc.... Paradossalmente, nella nostra isola l'assenza di una portesta generalizzata non è dovuta alle condizioni che esistono, ma a quelle che NON ESISTONO e che risultano determinanti:

- Non contiamo su organizzazioni della società civile indipendenti capaci di coordinare da Cuba un sollevamento naturale.
- Il popolo cubano, ignorante anche dei suoi più squallidi diritti e generalmente apatico, è indifeso contro la macchina repressiva e molto ben organizzata di un regime allenato a resistere per mantenere il potere, possessore di un sistema di diffusione madiatica e della capacità di tergiversare sui fatti. Non esiste inoltre un veicolo per tessere una rete cittadina capace di paralizzare il paese e costringere il Governo ad una negoziazione per la ricerca di un compromesso. E' anche certo che restano in carce una decina di prigionieri politici che, in virtù di una compromesso con il Governo, dovrebbero essere liberati presto.
- Al contrario di quello successo in Egitto, a Cuba non si conosce un programma di opposizione capace di rappresentare una resistenza effettiva al Governo, traducendo questa resistenza in azioni positive. I partiti d'opposizione del nostro paese, in caso di rivolta, non possono offrire al popolo la minima garanzia di un ordine sociale nè la proposta sociale di patti che contemplino gli interessi generali per stimolare una cambio verso la democrazia.
- Il popolo cubano, in maggioranza, non conosce i partiti di opposizione, i suoi membri nè le sue piattaforme (nel caso in cui le abbiano), come non conoscono nemmeno il lavoro dei giornalisti indipendenti e dei bloggers che hanno cercato di diffondersi sull'isola per poter influire sulle masse. Non per niente il Governo mantiene un ferreo monopolio dell'informazione.
-Non esiste minimamente un insieme di reclami popolari, che possa riunire una ampia massa di settori sociali differenti disposti ad affrontare le conseguenze di una ribellione, che si suppone pacifica.

Analizzando altre considerazini, la cosa più probabile è che le fila dei "rivoltosi" si nutrano da una parte degli oppositori e dei dissidenti in generale, che rappresentano un limitato settore determinato ad affrontarte le autorità, che darebbe al Governo una opportunità dorata per rinchiuderli, con l'accusa di "sovversione all'ordine" o altre accuse simili debilitando in questo modo una resistenza interna al paese.
Sarebbe un colpo demolitore per la società civile indipendente in un momento nel quale crescono i settori inconformi della popolazione, comincia a formarsi un consenso popolare spontaneo sulla necessità di cambiamenti per orientare quei sentimenti di frustrazione e insoddisfazione a favore di conquiste democratiche per i cubani.

Potremmo citare altre circostanze che ostacolano il successo di questo controverso sollevamento "pacifico", come il rancore accumulato nella società, frutto delle differenze politiche, vigilanza reciproca, delazione e sfiducia tra i cubani. Una rivolta popolare a Cuba, senza forze civiche riconosciute o media che controllano chiamando all'ordine con sicurezza, sfocerebbe in atti di violenza, regolamento di conti, saccheggi e distruzioni simili a quelle che hanno caratterizzato la rivoluzione di Haiti da 200 anni, con la conseguente distruzione e se possibile fine della nazione. Perchè terminerebbe in questo: una ribellione di "schiavi" fuggiaschi, ciechi e disordinati, la condizione che a ridotto la dittatura in virtù della proverbiale indifferenza dei cubani. Non esiste alcuna ragione per sentirci superiori agli haitiani.

Tutto questo non vuole dire che non sia possibile un focolaio sociale. Purtroppo la realtà indica che il paese si incammina verso un pericoloso punto di scontro.
Nonostante tutto sono tra quelle persone che cercano una soluzione pacifica e negoziabile al conflitto. Credo che bisogni continuare con la pressione verso quei settori più favorevoli ad un cambiamento organizzato, prendere vantaggio dalle disabilità del sistema e produrre un ampliamento dei possibili spazi civici, perchè senza i cittadini nessun cambiamento democratico a Cuba sarà possibile nè permanente. In questo processo giocano un ruolo importante i cubani che vivono all'estero così come quei cubani che hanno trovato la libertà interiore a loro stessi. Qualcuno una volta disse, magistralmente, che nelle guerre ci sono solo perdenti. Io aggiungerei che nel dialogo e la negoziazione ci sono solo vincitori.

di Miriam Caleya da Sin EVAasion

2 commenti:

nino ha detto...

ieri sera due giornalisti indipendenti alla televisione di stato cubana hanno rivelato di essere degli infiltrati della seguridad de estado.
Ciò indica in modo chiarissimo che lo stato cubano in qualsiasi momento è informato sulle mosse della opposizione.
C'è veramente il rischio che nell'opposizione cubana ci siano piu'infiltrati che dissidenti.
In una situazione simile ancora qualcuno può pensare che una eventuale rivolta popolare possa avere la possibilità di riuscita?
I due infiltrati rivelano che arriva dalla sina un bel po'di dinero, che permette a coloro che vengono beneficiati di avere una vita agiata.

Unknown ha detto...

interessante, mi dai il link per pubblicarlo?